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Azzurro panico

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Azzurro panico

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Quattro mesi fa, quando l’Italia del calcio diventò campione d’Europa, molti credettero che fosse anche la squadra più forte d’Europa. O, chissà, magari del mondo. Ovviamente non era così. Eravamo stati i migliori per un mese giocando un calcio propositivo e brillante, eravamo stati i più continui nelle prestazioni, avevamo fatto meglio il pressing e il possesso palla. Ma non eravamo i più forti. La Francia, eliminata dalla Svizzera ai calci di rigore, lo era molto più di noi. La Spagna, che ci prese a pallonate per un tempo e mezzo, avrebbe meritato di estrometterci in semifinale, invece passammo dagli undici metri grazie a quel ragazzone di Donnarumma che, sempre ai rigori, fu decisivo anche con l’Inghilterra. Siamo stati pure i più fortunati perché, se trasformare un rigore implica tecnica e abilità, il gol annullato ad Arnautovic, contro l’Austria, nei quarti, è stato manna dal cielo. Il fuorigioco era una cosa da Var, però senza quello non saremmo mai arrivati ai supplementari che ci dettero un pertugio per proseguire.

Così abbiamo messo le mani sulla Coppa e qualcuno ha pensato che valessimo più di tutti gli altri solo perché avevamo vinto. Al contrario, un torneo breve non dice mai la verità per intero.

Era stato bravo il ct Roberto Mancini a motivare una squadra poco più che discreta e a farla arrivare pronta al grande appuntamento. Un capolavoro di tattica e psicologia. Eravamo in forma e non avevamo la pressione del risultato a ogni costo. Oggi, invece, arriviamo sempre secondi sulla palla, sbagliamo tanto e abbiamo paura dei calci di rigore. Quella che era una forza – mentale e fisica, perché bisogna essere lucidi quando si tira un rigore – è diventato un cruccio. Peggio, un incubo. Dire che andiamo ai tormentati play off a causa degli errori di Jorginho è nei fatti, ma se guardiamo alle prestazioni il centrocampista del Chelsea non è l’unico a essere sgonfio.

È stanco Barella, è alterno Locatelli, è acerbo Tonali, Verratti è di nuovo infortunato.

Davanti non abbiamo nessuno – nemmeno Ciro Immobile ci ha o ci avrebbe risolto problemi e partite –, se non esterni come Chiesa e Berardi: uno potente, l’altro creativo. Al contrario, Lorenzo Insigne è sparito, un po’ perché gracile, molto perché fuori ruolo. Marzo e non aprile potrebbe essere il più crudele dei mesi. I play off hanno cambiato formula (semifinale e finale in partita secca, su dodici squadre ne passano tre, praticamente un altro Europeo) e l’Italia, a prescindere dall’avversario, avrà meno energie di adesso perché, oltre ai campionati che entrano nella fase finale, saranno riprese le Coppe. C’è molto da sperare dal rientro di Spinazzola, l’uomo che con le sue volate creava occasioni lungo la fascia sinistra. C’è da confidare sempre in Immobile (è capocannoniere e, comunque, è l’italiano che segna di più). C’è da far crescere qualche alternativa, come Scamacca e Lorenzo Lucca. L’attaccante del Pisa gioca in serie B, ma non è detto che a gennaio non possa salire di categoria, cambiando squadra. A tutto il resto pensa Roberto Mancini. Lunedì sera, a botta calda, ha detto che non solo andremo ai Mondiali, ma possiamo anche vincerli. Oggi sta già pensando a come fare. Una squadra è l’espressione dell’allenatore e noi dobbiamo tornare a essere quelli dell’estate passata. Perciò si ricomincia ancora da lui. Un consiglio (non richiesto): nessun debito di riconoscenza verso i giocatori. L’altra partita, quella del dentro o fuori, è già cominciata.   Di Giancarlo Padovan

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