Te Diegum
Il legame indissolubile tra Diego Armando Maradona, il Napoli e l’Argentina nelle parole di Claudio Botti, ex presidente della Camera penale napoletana.
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Il legame indissolubile tra Diego Armando Maradona, il Napoli e l’Argentina nelle parole di Claudio Botti, ex presidente della Camera penale napoletana.
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Il legame indissolubile tra Diego Armando Maradona, il Napoli e l’Argentina nelle parole di Claudio Botti, ex presidente della Camera penale napoletana.
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Il legame indissolubile tra Diego Armando Maradona, il Napoli e l’Argentina nelle parole di Claudio Botti, ex presidente della Camera penale napoletana.
Diego e Napoli, incrocio spontaneo di cromosomi. Altro che folklore: i napoletani mischiati agli argentini dinanzi al murale di Diego Armando Maradona per la vittoria mondiale della Nazionale sudamericana sono legati fra loro antropologicamente. Un rapporto coltivato nei decenni, sublimato da Maradona e che unisce ancora oggi il capoluogo campano a Buenos Aires.
Così ci spiega Claudio Botti, ex presidente della Camera penale napoletana ed ex numero due degli avvocati penalisti italiani, che più di 30 anni fa ha co-fondato il Te Diegum: un circolo di intellettuali unito nella difesa del Diez dopo la positività alla cocaina del 1991 e che anche attraverso un omonimo libro (edito quello stesso anno da Leonardo Paperback, con prefazione di Gianni Minà) ha provato a spiegare Maradona a chi non l’ha conosciuto a fondo.
«Negli scorsi decenni Napoli ha sviluppato un legame fortissimo con tanti argentini: Pesaola (che ha deciso di vivere nella nostra città), Sivori, Clerici e Higuain hanno dato il meglio in maglia azzurra» spiega Botti. «Certo, Maradona è stato la saldatura tra i due popoli. Diego ha compreso lo spirito dei napoletani, portando alla conservazione e alla sublimazione le loro caratteristiche principali: anarchia e talento. La sua maglia numero 10 è stata un simbolo ora portato avanti da Messi, sebbene quest’ultimo per i napoletani non possa essere paragonato a Maradona. Mi rendo conto che un rapporto così intenso a distanza di anni tra Napoli e l’Argentina sia di difficile comprensione nel resto d’Italia. Diego è morto da due anni, con il Napoli ha giocato sino al 1991, ma i festeggiamenti del Mondiale vinto dagli argentini sono stati spontanei. Dietro non c’è nulla di costruito, non c’è stato esercizio di retorica».
Il legale napoletano identifica il Diez come un naturale paladino del Sud del mondo, contro le prevaricazioni e le ingiustizie. Gli ideali delle battaglie di Diego, in campo e fuori, sono stati trasferiti da padre a figlio. Ecco perché al murale ai Quartieri Spagnoli, per celebrare Messi e compagni, vi erano tanti ventenni e trentenni che non hanno mai assistito a una partita di Maradona. «Diego era dotato di cultura istintiva» spiega Botti. «Era un animale politico pur non disponendo di una formazione culturale in tal senso. Ha combattuto la Fifa, il potere dell’ex presidente della Federcalcio argentina Julio Grondona, poi Blatter e Infantino. Negli anni Novanta si è speso per la nascita di un primo sindacato dei calciatori. Aveva un talento straordinario nella comprensione del popolo sofferente e insofferente al potere».
L’avversione di Diego per i poteri forti demarca la differenza tra lui e la Pulce: «Messi ha accettato di indossare il bisht (la tunica araba vestita da sovrani e capi tribù, ndr.) prima di sollevare la Coppa del Mondo. Diego non l’avrebbe mai fatto» osserva Botti. «Nella parte finale della sua vita è stato anzi costretto – per necessità economica, circondato com’era da diverse sanguisughe – a fare cose che non erano nella sua indole.
Era antropologicamente diverso, come i napoletani. Ecco perché il continuo paragone con Messi è visto in città come ridicolo, quasi offensivo».
di Nicola Sellitti
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