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Telecommedia

Dopo il volo in Borsa di Tim in seguito all’offerta di Kkr, gli scenari intorno a Telecom Italia sono cambiati. La storia di un’azienda che fu italiana, ma non è italiana da un pezzo.
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Dopo il volo in Borsa di Tim in seguito all’offerta di Kkr, gli scenari intorno a Telecom Italia sono cambiati. La storia di un’azienda che fu italiana, ma non è italiana da un pezzo.
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Dopo il volo in Borsa di Tim in seguito all’offerta di Kkr, gli scenari intorno a Telecom Italia sono cambiati. La storia di un’azienda che fu italiana, ma non è italiana da un pezzo.
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Dopo il volo in Borsa di Tim in seguito all’offerta di Kkr, gli scenari intorno a Telecom Italia sono cambiati. La storia di un’azienda che fu italiana, ma non è italiana da un pezzo.
La “i” è mendace. Telecom Italia fu italiana, ma non è italiana. Da un pezzo. Ma è stata e resta forse una tragedia, probabilmente una commedia, di sicuro una vergogna italiana. Era una multinazionale italiana delle telecomunicazioni, nata dalla fusione di tre società che andavano alla grande (Sip, Italcable e Telespazio) e di una azienda di Stato (Asst) che aveva un considerevole patrimonio di reti in fibra. Non aveva debiti significativi. È stata (1994) ‘privatizzata’ (in realtà sono state vendute le partecipazioni pubbliche) in modo equivoco, ma con regole allora stabilite dal Tesoro.

Presto quelle stesse regole sono state tradite e stracciate e gruppi italiani (prima Colaninno & C.) la depredarono e indebitarono per comperarla, non avendo soldi per farlo da soli, portandone la sede all’estero.

Poi altri italiani (Pirelli) riportarono la sede in Italia, provarono a raddrizzarla ma finirono storti da loro imperdonabili errori e dall’avere allestito un gruppo inquietante di spioni. Infine è stata venduta. Prima agli spagnoli di Telefonica (2007), poi ai francesi di Vivendi (2016). Oggi di italiano resta il 9,81% di Cassa depositi e prestiti, che più che un presidio è un problema, come vedremo. In questa storia l’Italia ha dato spettacolo di non rispettare neanche le proprie regole e di un capitalismo corsaro e arraffone. Roba da nascondersi. Mentre nascosti rimasero soggetti e soldi fuggiti.

Terminato il lugubre riassunto delle puntate precedenti, veniamo al presente e a cosa sarebbe saggio fare.

Kkr, il fondo statunitense che chiede di comprare tutto, è già qui. Partecipa FiberCop, che il pubblico non conosce ma è la parte di Tim dove c’è la sola cosa che valga: il doppino in rame dell’ultimo miglio, quello per cui ti vendono contratti a portata cascata del Niagara e arriva connessione a pisciolino. Gli appassionati di calcio vedono il portiere che calcia lungo e poi … che fine ha fatto la palla? Inoltre Kkr controlla Sirti, anche questa con un passato più grande del presente, ma pur sempre società che opera nelle reti. Quindi gli americani non bussano alla porta da fuori, ma da dentro. Chi ha investito 100 euro in Tim cinque anni fa oggi ne ha in tasca 50. I francesi la partita l’hanno persa e vogliono limitare le perdite. Kkr offre ben più del valore di Borsa, ma perché essendo dentro sa che spacchettando e valorizzando quel che comprano vale di più. Il management non ha, da anni, nessuna strategia e, da qualche tempo, anche alcuna competenza. Vanno alla cieca, ma ci vedono bene nel volere restare al proprio posto: siccome i francesi non ce li volevano più, preferiscono gli americani, che sono, loro, andati a cercare dove quelli già erano, ovvero in casa, reparto dispensa. La politica ha un passato tremulo (la privatizzazione fatta male, riconducibile a Ciampi e con le regole, approntate da Draghi, allora direttore generale del Tesoro, violate); poi un trascorso da complici (il governo D’Alema che cancella l’interesse pubblico e le regole per passare tutto agli spolpatori); più vicino a noi arriva Renzi che vuole la rete unica statale e rimette in pista Enel, che già s’era prodotta nella ridicola e costosa avventura Wind, con il risultato che i retofili finiscono irretiti; ergo arriva Conte che promette a Tim che la rete unica si farà dentro la sua pancia. La rete unica è una scemenza o un trucco per far finta che in Tim ci sia valore, il che diventa evidente quando, finalmente, arriva uno che sa cosa siano le telecomunicazioni nonché solo pezzo vivente d’italianità sopravvissuta, visto che fu a capo dell’inglese Vodafone: Colao. E ora? Ora abbiamo Cdp in Tim e in OpenFiber (l’accrocco renziano di Enel), meno lo Stato ci vuole essere e meglio è. Vivendi vuole li sordi e se ne va. Meglio Kkr di un’altra generazione d’incompetenti con prosopopea. Statalizzare è superba ladroneria ai danni della sora Cesira e del sor Augusto, che pagarono un grattacielo e glielo barattarono con una stamberga. Il governo si preoccupi di fissare le regole, far rispettare il contratto di servizio, far rispettare il mercato finanziario e far coprire le zone in cui si va a pedali. Il resto sarebbe meglio risolverlo a pedate.   Di Davide Giacalone

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