Itinerari previdenziali: spesa previdenziale stabile, ma boom costi assistenza
Roma, 18 gen. (Labitalia) – Mentre l’andamento della spesa per le prestazioni previdenziali del sistema obbligatorio si mantiene tutto sommato stabile (+3,54 miliardi rispetto al 2020), si conferma sempre più difficile da sostenere per il Paese il costo delle attività assistenziali a carico della fiscalità generale: dal 2008, quando ammontava a 73 miliardi, l’incremento è stato di oltre 71 miliardi, con un tasso di crescita annuo di oltre il 6%, addirittura di 3 volte superiore a quello della spesa per pensioni, comunque sostenute da contributi di scopo. Il tutto mentre, secondo i dati Istat, cresce il numero di persone in povertà e continua ad aggravarsi la tendenza a generare nuovo debito, penalizzando gli investimenti a favore di produttività e sviluppo del Paese. È quindi un quadro che richiama l’attenzione sulla necessità di separare previdenza e assistenza, contenendo quest’ultima, quello tracciato dal ‘Rapporto sul Bilancio del Sistema Previdenziale italiano’ curato dal centro studi e ricerche Itinerari Previdenziali, presentato quest’oggi alla Camera dei Deputati.
Una sintesi degli andamenti di spesa pensionistica, entrate contributive e saldi nelle differenti gestioni pubbliche e privatizzate, cui si aggiunge un’importante opera di riclassificazione utile sia a tracciare un bilancio del 2021 sia a effettuare previsioni sulla sostenibilità del welfare italiano.
La spesa pensionistica di natura previdenziale comprensiva delle prestazioni Ivs (invalidità, vecchiaia e superstiti) è stata nel 2021 di 238,271 miliardi contro i 234,736 del 2020: l’incremento è pari all’1,5%, vale a dire 0,4 punti percentuali meno dell’inflazione. In particolare, dopo il crollo imputabile a emergenza sanitaria e misure di lockdown, crescono del 6,58% le entrate contributive, che si attestano a quota 208.264 milioni, valore di poco inferiore a quello registrato nel 2019. Diminuisce di riflesso anche il saldo (negativo) tra entrate e uscite, pari a circa 30,006 miliardi: sul deficit, che scende di quasi 9 miliardi rispetto ai 39,3 del 2020, incide in particolar modo il disavanzo della gestione dei dipendenti pubblici, che evidenzia da sola un passivo di oltre 37 miliardi (erano 33 prima di Covid-19).
Sono invece 4 le gestioni obbligatorie Inps con saldi positivi, e in recupero rispetto al 2020 anche grazie al progressivo contenimento della pandemia: i lavoratori dipendenti che – al netto delle gestioni speciali poi confluite nel Fpld – presentano un attivo di 11.548 milioni (erano 1.203 l’anno precedente), i commercianti (da 607 a 654 milioni), i lavoratori dello spettacolo ex Enpals con 288 milioni (erano 150 nel 2020) e la Gestione Separata dei lavoratori parasubordinati. Con un saldo che passa da 6.819 a 7.700 milioni, quest’ultima risulta indubbiamente favorita dall’istituzione piuttosto recente, avvenuta nel 1996, e dunque dal numero ancora ridotto di pensionati, spesso peraltro percettori di assegni dall’importo contenuto.
Con la sola eccezione dell’Inpgi, l’ente previdenziale dei giornalisti, bilanci positivi anche per le Casse privatizzate dei liberi professionisti, per un saldo positivo complessivo di 3.692 milioni che beneficia, proprio come i parasubordinati, soprattutto di un buon rapporto attivi/pensionati.
Cala rispetto all’anno pandemico (14,20%) anche l’incidenza della spesa sul Pil, pari al 13,42%. Al netto degli oneri assistenziali per maggiorazioni sociali, integrazioni al minimo e Gias dei dipendenti pubblici (23,257 miliardi in totale), l’incidenza scende al 12,11%, dato più che in linea con la media Eurostat; la percentuale cala addirittura all’8,61% escludendo anche i trasferimenti a carico di Gias e Gpt (prevalentemente per le contribuzioni figurative) e le imposte, che per il 2021 valgono poco più di 62 miliardi.
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