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La politica italiana non sa tacere

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L’abate Dinouart sosteneva che “il primo grado della saggezza è sapere tacere”. Pratica sconosciuta alla politica italiana, intenta a fare rumore per trovare un immediato consenso
politica italiana

La politica italiana non sa tacere

L’abate Dinouart sosteneva che “il primo grado della saggezza è sapere tacere”. Pratica sconosciuta alla politica italiana, intenta a fare rumore per trovare un immediato consenso
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La politica italiana non sa tacere

L’abate Dinouart sosteneva che “il primo grado della saggezza è sapere tacere”. Pratica sconosciuta alla politica italiana, intenta a fare rumore per trovare un immediato consenso
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Chi governa dovrebbe applicare il più possibile l’arte del silenzio. Logicamente chi fa opposizione deve dire la sua, cercando però di non entrare nella spirale del «Sei tutto chiacchiere e distintivo!» urlato da De Niro-Al Capone ne “Gli intoccabili”, intramontabile capolavoro di Brian De Palma. Precisiamo: chi governa deve poter parlare per comunicare ai cittadini tutti, non solo ai suoi elettori, il progresso del lavoro del governare. Questo consente al cittadino di poter valutare, giudicare e scegliere nella tornata elettorale successiva. Consente pure all’opposizione di prendere visione del lavoro del governo e sviluppare idee e programmi che si potranno porre in alternativa. Questo nella normalità di un dibattito politico serio e puntuale. Purtroppo, in Italia non è quasi mai questa la condotta, soprattutto di chi detiene al momento le leve del potere, legittimato da un ampio consenso elettorale e, stando ai sondaggi successivi, popolare. Nel 1771 l’abate Dinouart scrisse un trattato, pubblicato a Parigi, sulla tematica del silenzio che occupa un notevole spazio «delle opere che dettano il comportamento del corpo e del linguaggio». Secondo l’abate francese l’arte di tacere è una «paradossale arte della parola, un altro capitolo della retorica, della quale ha mantenuto tutte le finalità pratiche». Dinouart sosteneva che «il primo grado della saggezza è sapere tacere; il secondo è saper parlare poco e moderarsi nel discorso». Nella politica italiana è ormai invalsa la pessima abitudine di parlare e “cinguettare” (leggi twittare) troppo e troppe volte, se non sempre, a sproposito. Anche perché – almeno nell’immediatezza – chi governa o fa opposizione non ragiona tanto per il bene della collettività, ritenendo in buona fede che quelle scelte siano giuste anche se magari impopolari, ma parla e talvolta non agisce (chiacchiere e distintivo, appunto) sulla base solo ed esclusivamente della immediata ricerca del consenso, basato su sondaggi e statistiche a volte superficiali. Consenso che peraltro non sempre significa giustezza e vero interesse collettivo. Abbiamo poi un problema politico di tutta evidenza: il nostro non è un sistema bipolare, anche se alcuni ce lo vogliono far credere. La maggioranza è composta da quattro partiti di cui uno (Fratelli d’Italia) decisamente soverchiante rispetto agli altri tre (Lega, Forza Italia e centristi alla spicciolata come Lupi, Toti, Brugnaro). Succede quindi che ogni giorno qualcuno degli esponenti più in vista o più desiderosi di diventarlo parlino o cinguettino, talvolta in aperta contraddizione con quanto affermato da Giorgia Meloni. Stesso discorso, ma in quel caso meno dannoso per il Paese, per i molteplici rami dell’opposizione. Potremmo qui fare molti esempi inerenti alla politica italiana. Di questa confusione sotto il cielo si nutrono i media: social o tradizionali, cartacei, eterei oppure online. Avrete notato che dai talk in particolare è sparita la figura del barista, tabaccaio o fornaio che brucia in diretta l’esosa bolletta del gas e della luce. Il tema è oggi quello del rincaro dei carburanti, che rincaro non è perché il governo ha solo reintrodotto le accise (certo anacronistiche nella maggior parte dei casi) momentaneamente sospese dal governo Draghi. Ricordate la caciara sul Pos o sul limite dei contanti? Non ne parla più nessuno. Nemmeno in quella opposizione da antica “ditta”, più attenta alle tasche dei cittadini che ai pur importanti diritti gender e via dicendo del cosiddetto “nuovo che avanza”. Di Andrea Pamparana

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