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Salute: cardiologo Rebuzzi, ‘con storie pazienti racconto la mia vita al loro fianco’

14 Febbraio 2023

Roma, 14 feb. (Adnkronos Salute) – “I giovani cardiologi oggi ascoltano poco i pazienti. Ma a loro dico: se volete fare il mestiere più bello del mondo dovete metterci il cuore, dare tutta l’anima. Le tecnologie aiutano, ma non sono nulla se non c’è empatia con il malato. A me la cardiologia ha dato tanto ed è quello che cerco di raccontare attraverso le storie dei miei pazienti”. È il messaggio che Antonio Rebuzzi, docente di Cardiologia all’università Cattolica di Roma e direttore della Terapia intensiva cardiologica del Policlinico Gemelli, rivolge alle giovani generazioni di camici bianchi attraverso il libro scritto in collaborazione con la giornalista Evita Comes, ‘Dalla parte del cuore – Storie di un cardiologo e dei suoi pazienti’, edito da Rubettino con la prefazione di Renato Zero, in veste di ‘paziente e amico’. Il volume è stato presentato oggi a Roma, nella Hall del Policlinico Gemelli, alla presenza del direttore generale Marco Elefanti e del direttore del governo clinico Rocco Bellantone.

“Il Gemelli è l’ospedale al quale devo tutto – racconta Rebuzzi all’Adnkronos Salute – e dove la mia attività professionale è iniziata quando avevo 27 anni, nel 1976”, 3 anni dopo la laurea in Medicina. Quelli in terapia intensiva cardiologica al policlinico capitolino “sono stati 40 anni faticosi, ma densi di soddisfazione per quello che si è fatto – afferma Rebuzzi – e con qualche rimpianto per quanto non sono riuscito a fare. Questo libro è una summa della mia vita, sempre al fianco dei pazienti. Dedico a tutti loro questo mio racconto, a chi ce l’ha fatta, a chi non c’è più ma anche ai giovani medici poco dediti all’ascolto delle persone che hanno in cura”.

“Racconto le vicende di personaggi non importanti nel senso comune del termine, se escludiamo il cardinale Carlo Maria Martini e il viaggio fatto con Benedetto XVI in Australia. Sono storie di pazienti ‘normali’: da quella di Pietro, un ragazzo di 15 anni morto sulla Costiera amalfitana per un incidente in motorino, a quella di Francesco, 19enne che ha avuto un arresto cardiaco mentre faceva jogging, andando in coma per poi risvegliarsi dopo un mese, fino a quella di una paziente, una professoressa di italiano, che per vincere la paura prima di una angioplastica recitava con me in sala operatoria la Divina Commedia. Storie diverse, alcune tragiche, alcune a lieto fine – ricorda – che mi hanno segnato molto”.

Tra migliaia di pazienti, compresi pontefici e presidenti della Repubblica, Rebuzzi ha scelto di narrare le vicende di pazienti comuni, “storie bellissime a volte drammatiche, a volte entusiasmanti di giovani tornati alla vita quando tutto faceva pensare il contrario”. Il cardiologo va indietro nei ricordi e ripensa al caso di Francesco, 19 anni. “Mentre correva nella zona dello Stadio Olimpico ha un arresto cardiaco. Preso in tempo, è rimasto in coma per oltre un mese: quando si ha un arresto cardiaco il cervello può subire qualche conseguenza. Pronti al peggio, avevamo perfino informato i genitori sulla donazione d’organi”.

“Quando si è svegliato, la gioia è stata immensa. Avevamo condiviso il dolore della mamma e del padre che, per tutto il tempo, giorno e notte, sono stati sempre presenti. Entrambi, però, per assistere il figlio hanno perso il lavoro. Per dare una speranza alla famiglia ho coinvolto i vertici dell’ospedale che mi hanno dato una mano per fare assumere la mamma che ancora oggi lavora al Gemelli, nel reparto di Ginecologia come portantina. Ringrazio l’allora rettore Ornaghi per aver dato una possibilità alla mamma di Francesco. Anche lui lavora nella sanità, ha una fidanzata e convive con il suo defibrillatore”, aggiunge.

Per salvare una vita “a volte non ho rispettato il protocollo – ammette il cardiologo -. È successo con un paziente che faceva terapia antiaggregante, per prevenire la formazione di coaguli nel sangue. Stava avendo un’embolia polmonare e io ero convintissimo che per salvarlo gli servisse un farmaco molto più potente. Chiesi un parere ad un ematologo, il quale mi scrisse che a riguardo c’era la controindicazione assoluta a somministrare un trombolitico. Io, invece, convinto della mia scelta, chiamai moglie e figli del paziente: dissi loro ‘se vi fidate di me, bene, se non vi fidate seguiamo le linee guida che dicono l’esatto contrario’. Non chiesi loro il consenso, li informai e basta: in caso il paziente non ce l’avesse fatta mi potevano mandare in galera. Invece, si fidarono di me e per fortuna il paziente si è salvato. Oggi sta bene, ma ovviamente prima di assumermi quella enorme responsabilità passai la notte senza mai dormire”.

Nel libro – un romanzo di vita umana e professionale che si legge tutto d’un fiato – c’è anche la storia del paziente che cerca casa vicino al cardiologo perché “teme una recidiva di un infarto e quindi vuole un soccorso immediato”, e c’è la vicenda di una paziente anestetizzata durante una “gara di recitazione della Divina Commedia”, gara a colpi di memoria tra lo stesso Rebuzzi e la paziente, una professoressa di italiano. “Era totalmente terrorizzata dall’angioplastica – ricorda il cardiologo – in sala operatoria tremava. In questi casi è difficile fare gli esami invasivi perché richiedono la partecipazione del paziente, a meno che non lo si anestetizzi. Oltre tutto, lo stress non aiuta, anzi facilita le crisi anginose, aumenta la frequenza cardiaca, quindi bisognava tranquillizzare la donna in tutte le maniere. Le avevamo somministrato un calmante, senza successo. Ad un certo punto proposi alla paziente una sfida, una gara per vedere chi ricordasse meglio il XXXIII canto dell’Inferno, quello del Conte Ugolino. Le dissi: ‘io recito una strofa e lei quella successiva’. Per la cronaca vinsi io ma nel frattempo le fu eseguita l’angioplastica con successo: le inserii due stent ma lei quasi non se ne accorse, era più attenta a non perdere la gara”.

Infine, l’aneddoto che vede protagonista il cardinale Martini, il vescovo del dialogo era affetto oltre che dal Parkinson anche da un difetto della conduzione cardiaca. “Doveva sottoporsi a un intervento per l’impianto di un pacemaker – prosegue Rebuzzi -. Gli parlai della necessità dell’operazione e lui candidamente mi rispose: ‘Professore, Sant’Ignazio di Loyola ha detto che durante il tempo dell’infermità ognuno deve l’ubbidienza al medico. Quello che dice il medico è la volontà di Dio’. Io mi feci scrivere questa dichiarazione con una dedica che conservo nel mio studio, ovviamente travisai il messaggio e in famiglia sanno che tutti mi devono obbedienza sempre”.

Per fare il medico bene, “serve stare dalla parte del paziente – conclude Rebuzzi – non sentirsi protagonisti della cura, ma ricordarsi che si sta combattendo al fianco della persona che si assiste per aiutarla a superare la malattia. Non dovrebbe esserci, come scrivo alla fine del libro, attraverso il mio angelo custode che è la voce narrante, altro modo di fare il medico di come lo abbiamo raccontato in queste pagine: presente, semplice e umile”.

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