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Sinner esorcizza Acazar

Sinner esorcizza Alcaraz

Sinner esorcizza Alcaraz, battendolo nella semifinale del Master 1000 di Miami. Forse, la partita della svolta

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Sinner esorcizza Alcaraz, battendolo nella semifinale del Master 1000 di Miami. Forse, la partita della svolta

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Sinner esorcizza Alcaraz, battendolo nella semifinale del Master 1000 di Miami. Forse, la partita della svolta

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Sinner esorcizza Alcaraz, battendolo nella semifinale del Master 1000 di Miami. Forse, la partita della svolta

Forse è la partita della svolta. Anche se a volte l’etichetta può pesare. Dentro il successo di Sinner su Alcaraz nella semifinale del Master 1000 di Miami (seconda finale in Florida in tre anni) c’è stato tutto: 40 minuti di fantastico tennis da parte dell’italiano, un ritmo infernale con righe di fondo ripulite, un servizio incisivo, con Alcaraz all’angolo. Poi, la sofferenza per il ritorno del funambolo spagnolo, con la sua completezza tecnica che lascia spesso senza parole, che  rimanda porta più al Federer nel suo prime – che fintava i colpi e lasciava gli avversari a metri dalla palla – a Nadal, meno tecnico e “pulito” di Alcaraz a 20 anni. Sinner ha dovuto subire, ricamare, ripartire, rinunciare al primo set al tie-break, poi resistere e venir fuori nel secondo set. Fino al terzo set, tra scambi infiniti giocati a un palmo dalla riga di fondo, come sanno fare solo i campioni. Sì, i campioni, perché Sinner è un campione. Lo dice il campo.

La vittoria su Alcaraz a Miami non è solo la rivincita di Indian Wells, avvenuta due settimane prima. La sceneggiatura della gara persa da Jannik in California aveva raccontato di un potenziale crack – l’altoatesino – che vede ancora un grado di separazione tra la sua resa sul campo al massimo della forma e lo spagnolo, il predestinato (Alcaraz resta il predestinato), che sale di livello quando serve, sbaglia quasi mai i punti decisivi delle partite. E quindi, vince. Sotto questo aspetto Alcaraz somiglia davvero a Djokovic o Nadal, a scelta.

Invece in Florida si è assistito a un nuovo capitolo della sfida tra i due, che potrebbe essere lunga, anche sofferta per Sinner, ma non per forza perdente. Al momento sono 3-3 nei confronti diretti, con un paio di partite epiche nei tornei dello Slam: Jannik straordinario a Wimbledon, Carlos vincente allo US Open.

Per batterlo, Sinner deve giocare sempre al meglio, distribuendo il conto degli errori gratuiti sulle dita di una sola mano. Sennò, la strada è in salita, perché l’arsenale tecnico dello spagnolo resta più ricco. Anche stanotte ci sono stati momenti in cui Jannik sembrava perduto, tra i soliti crampi che gli provoca il clima umido e caldo, qualche errore a rete, qualche scelta discutibile, un paio di drop shot fuori dallo script della partita. Ma poi è venuto fuori, è emerso, ha vinto, con merito, anche con una certa prepotenza, una certa brutalità tecnica. Una sicurezza che fa pensare ad altro, a una dimensione nuova. Giocarsela alla pari da fenomeno a fenomeno: Sinner, 22 anni in estate, contro Carlos, 20 anni tra qualche giorno. Una rivalità meravigliosa, fatta di stima reciproca e stimoli in quantità industriale. Una rivalità che è tale se ci sono successi da ambo le parti. Jannik stavolta ha eseguito.

Ovviamente l’Italia del tennis sogna. Sia quella sveglia in notturna per la partita, sia quella che si è risvegliata, mano allo smartphone, per conoscere subito il risultato. E che ora ovviamente guarda alla finale contro il russo Medvedev, qualche anno in più e diversi successi in più rispetto a Jannik, geniaccio russo ma meno costante del martello Carlos. Che tornerà più forte ancora, furioso perché Nole Djokovic – assente nel tour americano per la mancata vaccinazione al Covid-19, requisito necessario per entrare negli Stati Uniti – si riprende la prima posizione mondiale. Jannik invece potrebbe avvicinarsi alla top five, se vincesse il torneo. Numero sei al mondo (ora è stabile al numero nove), con gran parte della stagione davanti per salire ancora. Per sognare ancora.

di Nicola Sellitti

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