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Perché quotarsi in borsa: parola a Fabio Brigante di Ipo Coach

Spesso le PMI vorrebbero quotarsi in borsa, ma temono la complessità della materia. Con questa consapevolezza Fabio Brigante e Ornella Carleo hanno fondato IPOCoach
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Perché quotarsi in borsa: parola a Fabio Brigante di Ipo Coach

Spesso le PMI vorrebbero quotarsi in borsa, ma temono la complessità della materia. Con questa consapevolezza Fabio Brigante e Ornella Carleo hanno fondato IPOCoach
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Perché quotarsi in borsa: parola a Fabio Brigante di Ipo Coach

Spesso le PMI vorrebbero quotarsi in borsa, ma temono la complessità della materia. Con questa consapevolezza Fabio Brigante e Ornella Carleo hanno fondato IPOCoach
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Spesso le PMI vorrebbero quotarsi in borsa, ma temono la complessità della materia. Con questa consapevolezza Fabio Brigante e Ornella Carleo hanno fondato IPOCoach
Dopo 15 anni di attività di origination in Borsa italiana, Fabio Brigante ha lanciato assiema a Ornella Carleo la società IPOCoach che accompagna le piccole e medie imprese nel percorso verso la quotazione sui mercati finanziari. Con lui abbiamo parlato di quali sono i vantaggi della quotazione e dell’andamento dei mercati in un periodo in cui si sono susseguiti crack di importanti banche Da chi è composta IPOCoach? Oltre a me l’altra founder è Ornella Carleo, abbiamo competenze diverse ma trasversali, dal diritto societario alla finanza. Insieme curiamo di tutto quello che dovrebbe succedere molto tempo prima della quotazione, fino a quello che accadrà dopo. Ci avvaliamo anche di professionisti esterni, in particolare di temporary manager: ogni volta che c’è una PMI dove rileviamo dei gap nella struttura organizzativa, cerchiamo di affiancare questa figura a supporto del progetto identificato. Si tratta di figure di alto profilo in grado di gestire le fasi strategiche di un determinato processo aziendale. Da quale bisogno siete partiti nel fondare la società? Spesso le società che valutano la quotazione in Borsa non prendono in considerazione diversi fattori e pur di raggiungere l’obiettivo nel più breve tempo possibile si affidano esclusivamente al lavoro degli advisors. Questo impedisce una solida valutazione dell’impatto del processo di IPO con il rischio di avere parte della struttura manageriale non consapevole di cosa accadrà nel processo e soprattutto cosa succederà dopo. La carenza principale, dunque, è la formazione. La quotazione in borsa può essere la scelta della vita, ma spesso viene sottovalutato l’effort da dare. Cosa rappresenta la quotazione in borsa per un’azienda? Tra le operazioni che creano discontinuità nei processi aziendali c’è la quotazione che dal mio punto di vista è quella piu affascinante, dirompente e che può creare valore aggiunto. Al tempo stesso bisogna considerare che a volte la quotazione non è la scelta giusta per quella specifica società. Bisogna capire se è il momento giusto per entrare in questo mondo, se si ha la giusta dimensione per farlo e se si è seguiti dalle persone giuste. Sbagliando qualche considerazione, si rischia di fare una cattiva operazione. Perché una società dovrebbe quotarsi? Innanzitutto per raccogliere capitali, ma non solo. La quotazione permette anche di posizionarsi in un modo diverso nei confronti degli stakeholder, perché se sei quotato sei più visibile, sei più trasparente e trasmetti più affidabilità. Una società quotata potrebbe utilizzare l’azione come strumento di incentivazione. Ne parlavamo con le fondatrici di CDR Communication: cosa ne pensi del nanismo finanziario che caratterizza la nostra cultura? Il tema è che siamo il popolo europeo con più risparmi a disposizione, ma questi risparmi non entrano nell’economia reale. Magari il 95% del tuo TFR viene investito in titoli di aziende americane, o magari in bond emessi da Credit Suisse, quando accanto a casa tua hai un’azienda piccola, ma sana e in crescita che non viene assolutamente presa in considerazione. È giusto dire che il 2022 sia stato l’anno del delisting? In realtà si tratta di un’apparenza. L’anno scorso sono successe così tanti avvenimenti, a partire dalla guerra in Ucraina, che hanno avuto un impatto sulle IPO. Di conseguenza, i casi di delisting hanno avuto un maggior peso in percentuale, pur non essendoci stato un boom in termini assoluti delle aziende che sono uscite dalla Borsa. Sicuramente dopo questo primo trimestre abbiamo numeri incoraggianti circa il numero di aziende che stanno entrando in Borsa. Quanto successo con Silicon Valley Bank, Credit Suisse e Deutsche Bank può avere un risvolto simile a quello del 2008? Non credo. In quel caso si trattava di una crisi sistemica, in questo caso avrà delle riflessioni soprattutto in America anche per colpa di un sistema normativo diverso che caratterizza il loro sistema. D’altra parte, le aziende, soprattutto quelle che avevano già vissuto quella crisi, sono più pronte ad affrontare queste dinamiche. Tuttavia, c’è un messaggio che deve arrivare agli imprenditori: negli ultimi anni molti si sono dimenticati dell’importanza di patrimonializzare le aziende, preferendo il debito bancario grazie ai tassi molto bassi, oggi quell’era è finita. Da qui la quotazione in Borsa diventa uno strumento utile a rafforzarsi patrimonialmente e ad avere nuova benzina per crescere. La conduzione familiare, molto presente nel nostro tessuto produttivo, può essere un ostacolo all’ingresso dei mercati finanziari, magari a causa della diffidenza della vecchia generazione? Può essere un limite. Sicuramente è molto più probabile che in Borsa ci entri un’azienda nata negli ultimi 10-15 anni, piuttosto che un’impresa storica, a causa soprattutto nel profondo legame tra azienda e famiglia e la difficoltà ad aprile il capitale seguendo logiche e adempimenti a loro avviso eccessivi. Nei prossimi 10 anni gran parte delle piccole e medie imprese italiane dovranno affrontare un cambio generazionale e potrebbero considerare diverse ipotesi, la quotazione è interessante ma non è per tutti, e molti potrebbero valutare di vendere la maggioranza ad un gruppo quotato, e condividerne un percorso di crescita. Di Giovanni Palmisano

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