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Europa lavoro

L’Europa a muso duro sul lavoro

La direttiva dell’Ue che obbligherà le aziende a fornire dettagli dello stipendio in annunci di lavoro o al colloquio. E combattere il gender pay gap
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L’Europa a muso duro sul lavoro

La direttiva dell’Ue che obbligherà le aziende a fornire dettagli dello stipendio in annunci di lavoro o al colloquio. E combattere il gender pay gap
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L’Europa a muso duro sul lavoro

La direttiva dell’Ue che obbligherà le aziende a fornire dettagli dello stipendio in annunci di lavoro o al colloquio. E combattere il gender pay gap
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La direttiva dell’Ue che obbligherà le aziende a fornire dettagli dello stipendio in annunci di lavoro o al colloquio. E combattere il gender pay gap
Basta sorprese e colloqui al buio. In Unione europea sta per essere varata una direttiva che, in nome della trasparenza e dell’eguaglianza salariale, obbligherà le aziende a inserire lo stipendio proposto negli annunci di lavoro o in fase di primo colloquio. Il suo testo è già stato approvato dal Parlamento europeo e ora manca soltanto l’approvazione del Consiglio Ue. Fra tutte le involuzioni alle quali assistiamo, quelle riguardanti il mondo del lavoro si segnalano senz’altro per la loro assurdità. Prima fra tutte, l’idea di considerare il lavoro come una missione scevra da interessi economici. Non è così. Il lavoro è tante cose: orgoglio, dignità, soddisfazione e – udite udite – l’unico mezzo universalmente riconosciuto per sostenersi e poter rispettare le regole del vivere civile. Un marasma di ovvietà che però in Italia si sgretola in sede di colloquio e, prima ancora, nella ricerca stessa di un impiego. Si stima infatti che nel nostro Paese soltanto un annuncio lavorativo su dieci illustri inquadramento e retribuzione. Secondo una ricerca di Indeed, uno dei principali motori di ricerca per trovare occupazione, si tratta peraltro di un dato analogo a quanto avviene in Germania (il 10% degli annunci) e Spagna (il 13%). Al contrario, negli Stati Uniti colossi come Microsoft hanno contribuito alla trasformazione in legge – per esempio in Colorado o nella città di New York – di questa pratica di buona educazione. Senza scomodare le antiche distanze economico-culturali fra il nostro Paese e gli Usa, appaiono evidenti le conseguenze di questa scorrettezza legalizzata: in primis la possibilità per le aziende di mantenere altissimo il proprio ‘potere’ sulla risorsa, che si candiderà ad annunci di lavoro magari non pertinenti alla sua anzianità o che scoprirà lo stipendio annuo lordo soltanto al termine dell’iter selettivo. La conseguente contrattazione sulla retribuzione (una pratica percepita in Italia ancora come tabù) sarà così tutta a favore dell’azienda. Per alcuni la ricerca di un lavoro è ancora più frustrante. Da uno studio condotto su oltre un migliaio di donne di età compresa fra 18 e 65 anni – realizzato da Jobiri, il primo consulente di carriera online basato sull’intelligenza artificiale – si evince infatti che il 70% del campione si sente confuso e fatto oggetto di pregiudizi e discriminazioni sessuali. Per alcuni cacciatori di teste rimasti all’Età della pietra, domande come «Ha un partner?» oppure «Ha figli o ha intenzione di averne?» sembrano ben più interessanti delle capacità professionali della candidata. Un inaccettabile divario di genere sul piano retributivo e di trattamento che la prossima direttiva Ue – definita «progressista, moderna, liberale e intersezionale» dalla deputata e corelatrice Samira Rafaela (gruppo liberale Renew Europe) – si propone di colmare in maniera concreta. di Raffaela Mercurio  

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