Immigrati d’oro
Immigrati d’oro
Immigrati d’oro
Avviso ai lettori: se cercate ragionamenti o presunti tali divisivi, cattivisti o buonisti sull’immigrazione, potete anche fermarvi qui. Per l’ennesima volta, tenteremo di richiamare l’attenzione sull’approccio con cui dovremmo accostarci al tema in Italia. Essendo parte irrinunciabile del nostro futuro, riteniamo sia giunto il tempo di sottrarlo agli atteggiamenti ideologici. A farne leva, insomma, per mostrarsi alternativamente arcigni e severissimi difensori del sacro suolo patrio o cantori dell’accoglienza generalizzata e indiscriminata, in nome di un universalismo buono finché non deve riguardare il nostro quartiere. Due sciocchezze, che hanno peraltro bisogno l’una dell’altra per continuare a occupare scientificamente il dibattito pubblico.
Poi si scopre che nel Documento di economia e finanza (Def) c’è scritto nero su bianco quello che abbiamo sommessamente provato a ricordare innumerevoli volte: stante il glaciale andamento demografico del nostro Paese, per tenere sotto controllo in qualche modo i conti pubblici, salvare il welfare e non consegnarci a un futuro di miseria economica e di vecchiaia in solitudine, l’unica strada passa da una gestione consapevole e massiccia del fenomeno migratorio. Nel Def gli scenari sono chiarissimi: il rapporto fra il debito e il prodotto interno lordo – oggi poco sopra il 150% – potrebbe andare definitivamente fuori giri a lungo termine, scavallando di molto quota 200%, in caso di una riduzione del 33% della popolazione immigrata. Viceversa, se quest’ultima dovesse aumentare della stessa percentuale del 33%, il rapporto debito/Pil potrebbe scendere al 130% entro il 2070.
Orgia di percentuali a parte, anche un bambino dovrebbe cogliere l’essenzialità del problema: o impariamo quanto prima a gestire i flussi migratori, bandendo qualsiasi approccio di natura ideologica, oppure diremo addio a uno dei pochissimi asset a nostra disposizione. È sottinteso, anche se non scritto nel Def, che per dispiegare gli effetti positivi di cui sopra gli immigrati dovranno integrarsi e lavorare. Questo significa attrezzarsi per tempo, difficile ma tutt’altro che impossibile. Basterebbe studiare come la Germania sia riuscita a integrare con straordinaria efficacia comunità enormi quali quella turca o, molto più di recente, quella siriana in fuga dagli orrori della guerra civile. Non esistono ricette miracolose, le difficoltà sono scontate e le resistenze anche, ma chi voglia mettere il Paese sull’unico percorso a disposizione non ha alternative a lavorare in tal senso. Primo passo, spazzar via le roboanti dichiarazioni a effetto: ottime per Twitter, ma disastrose pensando al nostro futuro.
di Fulvio GiulianiLa Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
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