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Shareting

Deriva dello sharenting

Sharenting: l’intensiva condivisione social dei bambini da parte dei genitori. Una pratica troppo diffusa, che va ben oltre la strumentalizzazione di minori per scopi di marketing
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Deriva dello sharenting

Sharenting: l’intensiva condivisione social dei bambini da parte dei genitori. Una pratica troppo diffusa, che va ben oltre la strumentalizzazione di minori per scopi di marketing
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Deriva dello sharenting

Sharenting: l’intensiva condivisione social dei bambini da parte dei genitori. Una pratica troppo diffusa, che va ben oltre la strumentalizzazione di minori per scopi di marketing
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Sharenting: l’intensiva condivisione social dei bambini da parte dei genitori. Una pratica troppo diffusa, che va ben oltre la strumentalizzazione di minori per scopi di marketing
«Adesso ti faccio una domanda particolare: tu ti vergogni a farti vedere spogliato da mamma? E mamma si vergogna di farsi vedere tutta nuda da te? E tu che fai quando mamma si toglie il reggiseno? Non le guardi le tette di mamma?». Già solo a leggerle, queste frasi fanno un certo effetto. Ora provate a immaginare che non siano parole scritte bensì dette in video da una madre, di professione ginecologa, al figlio di circa nove anni.  Figlio che abbozza imbarazzato e risponde a monosillabi, incalzato dalla mamma che insiste sull’importanza di non vergognarsi perché «tu quelle tette le hai ciucciate!». Immaginate ora che quel video sia visto da centinaia di migliaia di persone su Instagram, dove la mamma influencer mescola queste scenette a consigli su come scegliere la coppetta mestruale o sull’opportunità o meno di mangiare la panna in gravidanza. A dimostrazione che la realtà supera di gran lunga l’immaginazione, il video esiste ed è stato diffuso – coprendo il viso del bambino e cancellando il nome del profilo – da Selvaggia Lucarelli, da tempo impegnata nella lotta allo sharenting, acronimo di share (condividere) e parenting (genitorialità).  La condivisione social intensiva dei figli minori da parte dei genitori è ormai una pratica comune ma fino a oggi la critica era rivolta soprattutto a chi utilizza quelle immagini come strumenti di marketing nel tentativo di aumentare visibilità, like, follower e, di conseguenza, il proprio introito economico. Ma col passare del tempo – e senza un’opportuna regolamentazione delle immagini dei minori diffuse in Rete dai genitori – la questione si è fatta più complessa, arrivando a sfiorare l’abuso. Bambini e bambine si ritrovano così a partecipare a siparietti pieni di allusioni a sfondo sessuale, nei quali l’aspirazione all’anticonformismo genitoriale, mediata da toni ambigui e sorrisetti, si trasforma in qualcosa di forzato e disturbante.  In “Social Fame”, libro a cura della dottoressa Laura Dalla Ragione, lo sharenting – con la sua ingombrante narrazione del sé senza alcun consenso da parte del minore – viene considerato pericoloso per il sano sviluppo dell’identità del bambino e un fattore di rischio per il disagio adolescenziale, a prescindere dalla tipologia di immagine veicolata. Ma quando il bambino viene forzatamente incluso in un contesto semantico non adatto alla sua età (di cui non è in grado di comprendere significato e portata) e obbligato a partecipare a un discorso che lo mette visibilmente in imbarazzo proprio dalle figure genitoriali che dovrebbero tutelarlo, gli effetti non possono che essere deflagranti. Questo non ha niente a che fare col parlare liberamente di sessualità in famiglia o con la scelta di mostrarsi nudi ai figli fra le mura domestiche. In gioco qui non c’è soltanto il rapporto diretto fra un genitore e un figlio ma anche e soprattutto quello mediato dal pubblico social che spia le reazioni del bambino, che commenta, che pretende altri contenuti, che si appropria di quell’imbarazzo e di quelle immagini facendone ciò che vuole, senza alcuna tutela nei confronti del minore. In un’epoca in cui anche una sola parola fuori posto può essere etichettata come molestia, lascia attoniti l’idea che nulla si possa fare per arginare questo fenomeno ben più grave e pericoloso. Di Maruska Albertazzi

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