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il linguaggio dei colori

Il linguaggio dei colori

I colori, da soli, possono creare arte. La loro compresenza su una tela può generare una sensazione di movimento, così come scatenare emozioni precise, proprie di quell’accostamento. Fondamentale è anche la funzione dei colori al di fuori del mondo dell’arte.
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Il linguaggio dei colori

I colori, da soli, possono creare arte. La loro compresenza su una tela può generare una sensazione di movimento, così come scatenare emozioni precise, proprie di quell’accostamento. Fondamentale è anche la funzione dei colori al di fuori del mondo dell’arte.
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Il linguaggio dei colori

I colori, da soli, possono creare arte. La loro compresenza su una tela può generare una sensazione di movimento, così come scatenare emozioni precise, proprie di quell’accostamento. Fondamentale è anche la funzione dei colori al di fuori del mondo dell’arte.
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I colori, da soli, possono creare arte. La loro compresenza su una tela può generare una sensazione di movimento, così come scatenare emozioni precise, proprie di quell’accostamento. Fondamentale è anche la funzione dei colori al di fuori del mondo dell’arte.
«Questo lo potevo fare pure io». Chi non mai avuto un pensiero del genere dopo aver visto un quadro astratto? Eppure non è così. Comprendere la creatività e il messaggio intrinseco di un’opera non è per tutti. Se nelle rappresentazioni figurative di un paesaggio è sufficiente osservare, in quelle astratte occorre possedere una caratura emozionale che sappia elevarsi a interprete del messaggio. L’esempio più eclatante è dato da Yves Klein, autore di tele dipinte con un unico colore. E che ci vuole a spennellare per intero una superficie piana? Classica domanda da neofita. Da colui che si ferma all’apparenza senza entrare nel mondo di quella tonalità cromatica inventata dall’artista e che ne rappresenta l’anima stessa. Già, perché Klein è riuscito a creare il colore puro ottenuto con una accurata estrazione e miscelazione di pigmenti naturali. Guardando una sua opera è come se si stesse guardando un ritratto che però non raffigura una persona ma un colore. Ad esempio, la perfezione cromatica per quello che noi chiamiamo genericamente blu è rappresentata dall’International Klein Blu, una tonalità oltremare contrastata e molto luminosa. Il monocromatismo, visto come piattaforma ideale su cui elaborare il concetto di tridimensionalità, ha caratterizzato anche le opere di Lucio Fontana. L’artista italiano ha così voluto elevare la tela da mero piano di lavoro a vera e propria scultura. L’ordine dei tagli, l’ampiezza dello strappo e l’unicità cromatica dello sfondo fanno sì che, come detto dallo stesso Fontana, «le figure pare abbandonino il piano e continuino nello spazio». Una idea semplice che chiunque può riprodurre. Essere il primo ad averla è il discrimine tra normalità e genialità. Che dire poi delle tele che a prima vista sembrano un’accozzaglia di colori e scarabocchi senza alcun senso logico? Cosa voleva dire l’artista? Per rispondere occorre guardare in profondità, non soffermarsi all’immediato e all’istinto. Bilanciare cioè il peso visivo dei colori e del loro abbinamento. Ad esempio, un triangolo giallo su sfondo blu darà immancabilmente una sensazione contrastata, l’osservatore si sentirà fisicamente attirato e respinto. I colori chiari appaiono molto più leggeri rispetto a quelli scuri e la loro posizione determina la direzione del movimento. Una sequenza di diverse tonalità dello stesso colore porterà l’occhio a guardare prima i più chiari e poi i più scuri. Così una pennellata nera su sfondo verde darà un senso di angoscia ma diventerà invece di speranza se si guarda la stessa composizione ma a colori invertiti. Se i colori servono per attirare l’attenzione o dare messaggi emozionali, i non-colori bianco e nero hanno la finalità opposta. La neutralità delle tinte grigie induce l’osservatore a concentrarsi sulla totalità della rappresentazione. Steven Spielberg ha utilizzato questo principio per girare “Schindler’s List”, rendendo a colori solo il cappottino rosso di una bambina ebrea durante il rastrellamento del ghetto e poi durante la riesumazione delle vittime. Lo spettatore non potrà non vederlo e non ricordarne il tragico percorso. Scelta analoga ma per motivi differenti quella dei componenti delle orchestre sinfoniche di vestire abiti neri o bianchi. Durante i concerti il solo senso impegnato deve essere l’udito: colorare i musicisti significherebbe invece attivare e incuriosire anche gli occhi, occupando uno spazio d’attenzione mentale che invece deve rimanere esclusivamente appannaggio della musica. di Stefano Caliciuri

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