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Leucemia mieloide cronica e sospensione cure, studio fa chiarezza

21 Settembre 2023

Milano, 21 set. (Adnkronos Salute) – Nei malati di leucemia mieloide cronica (Lmc) con risposta ottimale alla terapia, la progressione del tumore rappresenta un evento molto raro, ma possibile (compreso tra un caso su 10mila e uno su mille), e tuttavia non legato alla sospensione del trattamento. A fare chiarezza su un punto ancora controverso è uno studio italiano pubblicato sull”American Journal of Hematology’. Il lavoro, coordinato da Carlo Gambacorti Passerini, professore di Ematologia all’università Milano-Bicocca e direttore Uoc Ematologia della Fondazione Irccs San Gerardo dei Tintori di Monza, è iniziato nel 2017 e ha coinvolto 906 pazienti Lmc seguiti in centri italiani, francesi, tedeschi, spagnoli e canadesi. I risultati vengono diffusi oggi da Bicocca e San Gerardo, alla vigilia della Giornata mondiale della leucemia mieloide cronica.

La Lmc – ricordano ateneo e Irccs – è una forma di leucemia che, grazie all’avvento di farmaci specifici (inibitori di tirosino-chinasi), è passata da una aspettativa di vita di 2-3 anni a una identica a quella della popolazione generale. Questo ha determinato un continuo aumento del numero dei pazienti che convivono con la malattia, stimato in circa 2 milioni nei Paesi sviluppati. In presenza di una risposta ottimale ai trattamenti, definita come almeno 4 anni di terapia e presenza di un residuo minimo di cellule leucemiche (meno di una su 10mila), è usuale proporre al paziente di sospendere la terapia. E’ noto che circa la metà deve poi riprenderla a causa di una recidiva di Lmc, ma la pratica della sospensione è comunque sicura perché la ripresa del trattamento porta a una nuova remissione praticamente in tutti i pazienti. In letteratura, tuttavia, sono stati descritti alcuni casi in cui la sospensione della terapia si è associata a una progressione della Lmc, alla sua evoluzione in una leucemia acuta e a volte anche alla morte. Queste descrizioni di singoli casi, però, non permettono di quantificare il rischio di questo evento.

Questo è il presupposto da cui sono partiti i ricercatori di Bicocca e San Gerardo. I pazienti arruolati nello studio dovevano essere candidabili alla sospensione della terapia e sono stati seguiti indipendentemente dalla loro decisione se sospenderla o no. Circa il 40% non ha sospeso la terapia, mentre il 60% lo ha fatto. Dopo un tempo di monitoraggio mediano superiore a 5 anni e oltre 5mila anni-persona di follow-up disponibili, è stato registrato un unico caso di progressione di malattia in un paziente tedesco di 45 anni: una frequenza di circa un caso su mille, che per di più si è verificato nel gruppo di pazienti che non aveva sospeso la terapia. Da qui le conclusioni degli autori. Questi risultati, concludono, indicano inoltre la grande importanza dell’assunzione regolare della terapia prima della sua sospensione, e di un monitoraggio ottimale da parte del medico dopo la sospensione.

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