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La sensazione più bella, a dirla tutta, è che il meglio debba palesemente ancora venire: Sinner ha margini di miglioramento enormi
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La sensazione più bella, a dirla tutta, è che il meglio debba palesemente ancora venire: Sinner ha margini di miglioramento enormi
Jannik Sinner è il classico ragazzo capace di spiazzarti. A scuola, al campo, forse anche la sera con gli amici. Deve essere così, a giudicare dalle emozioni che è in grado di suscitare. Lo abbiamo difeso più volte, quando veniva sommerso da critiche assolutamente inconcepibili (diciamola tutta: “lunari” e non abbiamo aspettato la scalata alle classifiche mondiali Atp per scriverlo), per una sconfitta in questo o quel torneo. L’abbiamo criticato – più che altro ci siamo rimasti male – quando ha ripetutamente dato il benservito alla maglia azzurra, in occasione degli incontri di Coppa Davis. Non dimentichiamo la difesa e siamo pronti a schierarci sempre e comunque al suo fianco quando (inevitabilmente?) torme di frettolosi critici si addenseranno sulla sua testa, così come speriamo di poter dimenticare certe freddezze azzurre che continuano a dispiacerci. O almeno quelle che sembrano tali e magari semplicemente non sono state gestite al meglio dal clan del campione e dalla stessa Federazione, corsa ancora una volta al fianco di Jannik nel momento del trionfo di ieri a Pechino contro il grande rivale Medvedev. Il ragazzo è un fenomeno e solo la relativa abitudine di noi tutti alla nuova età dell’oro del tennis italiano non ci fa girare troppo la testa davanti al quarto posto in classifica mondiale, ai big battuti in sequenza e ai trionfi nei tornei. Ok Adriano Panatta, ok i ricordi dell’anno d’oro degli Internazionali e di Parigi, ma stiamo parlando di un altro mondo, di un altro tennis, di un’altra era da qualsiasi punto di vista la si guardi. Sono passati cinquant’anni, accipicchia. Abbiamo dovuto aspettare mezzo secolo – poco meno, va bene, ma la sostanza non cambia – per tornare ad arrampicarci lassù, al quarto posto dell’Atp. Basterebbe questo per dar corpo a un’impresa che è corretto definire “storica”. La sensazione più bella, a dirla tutta, è che il meglio debba palesemente ancora venire: Sinner ha margini di miglioramento enormi in diversi aspetti del suo gioco e anche nella tenuta psicologica e fisica. Per essere chiari, non c’è traguardo che in questo momento gli sia precluso, anche perché l’inevitabile cambio della guardia e il tramonto prossimo venturo dell’era dei tre inavvicinabili (Djokovic terrà botta ancora un bel po’ ed è oggettivamente in un’altra galassia, ma l’anagrafe non perdonerà persino lui) schiude prospettive da far tremare i polsi. Come per Alcaraz, che ha vinto moltissimo e ha già toccato l’Olimpo. È qui che si misurerà Jannik Sinner: nella capacità di reggere a pressioni che potranno solo aumentare, a traguardi che si faranno sempre più grandi. Fino a ieri impensabili per l’intero nostro movimento. Andrà aiutato, stimolato ma non schiacciato da pressioni spesso inventate di sana pianta e buone giusto per fare un po’ di baraonda mediatica. Credeteci, sono assolutamente sufficienti quelle che dovrà gestire nei prossimi, splendidi anni che lo (ci) aspettano di Fulvio Giuliani 

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