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Inca Cgil: “In compressione dei diritti le criticità della Riforma Cartabia”

22 Novembre 2023

Roma, 22 nov. (Adnkronos/Labitalia) – L’analisi delle novità in materia processuale della Riforma Cartabia è stata oggi per l’Inca, il patronato della Cgil, l’occasione per fare il punto sul contenzioso, durante il seminario di aggiornamento. Un appuntamento importante, secondo l’Inca, per la condivisione e lo scambio di informazioni con le sedi territoriali, per individuare le maggiori e sempre nuove criticità rappresentate da una progressiva compressione dei diritti e delle tutele.

“Lo spirito della riforma Cartabia – ha spiegato Amos Andreoni, componente del collegio legale dell’Inca nazionale – è di snellire il processo togato e quindi di favorire tutte le soluzioni alternative al processo. In questo quadro ci siamo posti la domanda come valorizzare il procedimento amministrativo e di ricorso proprio per snellire la fase giudiziaria. Oltre alla carrellata delle problematiche di maggiore attualità ci poniamo il problema di come realizzare le migliori iniziative per interloquire con successo con l’Inps e l’Inail. Inoltre anche all’interno dell’Inps e molto meno all’interno dell’Inail ci sono direzione che non colloquiano tra loro, assistiamo dunque a un effetto paradossale per cui abbiamo una circolare favorevole per un dipartimento e un’altra su altri temi ma similari che invece è negativa. Assistiamo quindi a un problema di coordinamento interno all’Inps che dovremmo in qualche modo risolvere”.

“Come spesso succede – ha chiarito l’avvocato Barbara Storace, componente del collegio legale Inca nazionale – le esigenze di razionalizzazione e velocizzazione del processo da un lato sicuramente portano ad una modernità e consentono di accorciare i tempi della giustizia. La limitazione sul diritto di difesa e sul diritto sostanziale è un problema, perché vediamo che si assiste anche ad uno scadimento della qualità ogni volta che si va a semplificare”.

“La sentenza numero 8 della Corte Costituzionale – ha ricordato l’avvocato Rosa Maffei, coordinatrice del collegio legale dell’Inca nazionale – interviene su degli indebiti che si sono realizzati in virtù di un pagamento sbagliato da parte di un ente pubblico o previdenziale, indebito che è stato incamerato dal soggetto e nella piena fiducia che questo fosse spettante. Purtroppo l’area dell’esonero della restituzione nel nostro ordinamento riguarda dei settori molto specifici; soprattutto le pensioni e non le prestazioni previdenziali. Ad esempio rimangono esclusi tutti i cattivi pagamenti effettuati sulle indennità previdenziali di disoccupazione che è l’oggetto del giudizio del giudice di Lecce che ha rimandato la questione alla Corte Costituzionale. L’ambito dell’esonero cioè dell’irripetibilità dell’indebito non viene cambiato e i settori rimangono regolati dalle norme previgenti. La sentenza introduce un rimedio legato alla capacità restitutoria del soggetto, laddove nel pieno affidamento qualificato della ricezione, si accompagnino anche elementi di carattere personale, economico, di salute che sarebbero messi in discussione laddove l’ente ripretendesse la restituzione. Quindi questo è un rimedio aggiuntivo che non riguarda l’impossbilità di ripetere, ma l’impossibilità di pretendere in restituzione”.

E’ stato fatto anche il punto sul contenzioso Naspi. “Il contenzioso Naspi – ha affermato Roberta Palotti, componente del collegio legale dell’Inca nazionale – è sicuramente molto ampio. Al momento le questioni più problematiche sono collegate al riconoscimento del diritto alla Naspi in favore dei detenuti che hanno prestato attività lavorativa subordinata all’interno del carcere, in favore della Pubblica amministrazione, quindi assunti con contratti di lavoro a tempo determinato e indeterminato e che all’esito della scarcerazione si vedono inevitabilmente interrompere il rapporto di lavoro e che quindi avanzano domanda di accesso alla Naspi. Domanda che viene respinta dall’Istituto ritenendo da un lato il rapporto di lavoro ‘intramurario’ in favore della Pa non configurerebbe un reale rapporto di lavoro subordinato a tutti gli effetti e dall’altro che la scarcerazione non costituirebbe quella perdita involontaria dell’occupazione. Questo non corrisponde alla realtà, il lavoro ‘intramurario’ è previsto dall’ordinamento penitenziario e l’amministrazione penitenziaria in relazione ai lavoratori subordinati versa una contribuzione assicurativa e quindi anche quella afferente la Naspi”.

“Un altro contenzioso – ha aggiunto – riguarda la decorrenza della Naspi, in ipotesi di liquidazione giudiziale, atteso che a seguito della risoluzione del rapporto di lavoro per qualunque motivo avvenga la risoluzione stessa coincide con la data di apertura della liquidazione giudiziale. La risoluzione del rapporto di lavoro in realtà può avvenire fin a 8 mesi dopo l’apertura della liquidazione e in simile fattispecie Inps riconosce il diritto alla Naspi soltanto a decorrere dalla presentazione della domanda sostegno al reddito. Anche quest’ultima interpretazione si ritiene errata nel senso che lo stesso diritto deve essere riconosciuto al lavoratore che ha diritto alla prestazione Naspi a decorrere dall’apertura della liquidazione giudiziale con relativa copertura della contribuzione figurativa”.

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