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Rasputitsa, il più forte generale di Russia

 Il generale russo che ha tenuto in scacco i Mongoli, Napoleone, e Hitler stabilisce i ritmi del braccio di ferro di Putin con l’Occidente.
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Rasputitsa, il più forte generale di Russia

 Il generale russo che ha tenuto in scacco i Mongoli, Napoleone, e Hitler stabilisce i ritmi del braccio di ferro di Putin con l’Occidente.
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Rasputitsa, il più forte generale di Russia

 Il generale russo che ha tenuto in scacco i Mongoli, Napoleone, e Hitler stabilisce i ritmi del braccio di ferro di Putin con l’Occidente.
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 Il generale russo che ha tenuto in scacco i Mongoli, Napoleone, e Hitler stabilisce i ritmi del braccio di ferro di Putin con l’Occidente.
Una volta, durante la lezione di storia, un compagnuccio si girò e mi chiese: «Quanto mizzica era vecchio ‘sto Generale Inverno per sconfiggere prima Napoleone e poi Hitler?». La domanda in verità nasconde un errore ben più profondamente radicato nelle ore della scuola dell’obbligo rispetto a quanto ci si possa aspettare. A sconfiggere i due megalomani non fu l’inverno in sé, bensì la rasputitsa, termine russo (letteralmente “senza strade”) che indica la difficoltà di muoversi nel fango pre e post disgelo: infatti la storiografia russa non distribuisce galloni alla stagione più fredda ma parla invece di Generale Fango o, appunto, di Generale Rasputitsa. Di questo possiamo trovare conferma pratica: fanti, cavalli e carri armati hanno bisogno di terreno solido su cui marciare ma i disgeli primaverili e le piogge autunnali trasformano ogni tratto sterrato in un pantano di fango capace di rallentare le manovre belliche, se non di ostacolarle del tutto. Ne hanno avuto un assaggio il Corso, il Boemo e persino i Mongoli che per colpa del terreno impraticabile non riuscirono a saccheggiare Novgorod nel XIII secolo. Oggi però il grande difensore della Russia è invece l’oggetto di precisi calcoli dello zar Putin e dei suoi generali. Nessuno infatti mette più in dubbio che lo stanziamento delle truppe sul confine ucraino sia un bluff del Cremlino, dato che si sono concretizzati tutti i passaggi necessari a un’invasione in grande stile. Su Twitter e TikTok si trovano dozzine di video di cittadini russi che inquadrano, probabilmente con stupore misto a un po’ di orgoglio, le lunghe file di treni che sfoggiano tutti gli equipaggiamenti militari dell’esercito di Mosca – gli “Anemone” anfibi dotati di mortai da 120 mm, i carri T-80, i trasporti truppe MT-LB, i blindati “Troyka” – mentre si muovono insieme ai loro soldati, da Est verso Ovest, lasciando quasi sguarnito il Distretto militare orientale su tutto il confine mongolo e cinese. Ma non è questo dispiegamento o il trasferimento di numerose unità dell’aviazione nella penisola della Crimea a convincere gli analisti che Mosca faccia sul serio, quanto lo spostamento dei lanciamissili tattici Iskander, micidiali camion che fungono da postazioni mobili per il lancio di testate balistiche ipersoniche impossibili da intercettare. Ed è probabilmente la presenza di questi pezzi da novanta della missilistica russa sul teatro ucraino ad aver spinto l’ammiragliato americano a dispiegare il gruppo d’attacco 8 della portaerei “Uss Truman” nell’Alto Adriatico, a distanza di volo utile dal Donbass. Il dispiegamento russo è quindi vasto e temibile e si inseguono le ipotesi di scenari che vogliono la Russia interessata innanzitutto alla scomparsa dell’eventualità di una Ucraina forte e indipendente. Se riusciranno a raggiungere i loro obiettivi con la diplomazia della pistola puntata alle tempie oppure con un’invasione sanguinosa dipenderà sia dal sangue freddo occidentale, sia dall’accortezza dei russi nell’evitare che la trappola del loro generale più famoso si ritorca loro contro. Il tempo della rasputitsa è opposto a quello dell’azione e Putin potrebbe scoprirsi in buona compagnia nell’elenco di coloro che non l’hanno tenuta nella considerazione che merita. di Camillo Bosco

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