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Liberi di Sognare, in mostra a Vicenza il ‘riscatto’ della Pop-Beat italiana

7 Marzo 2024

Roma, 7 mar. (Adnkronos) – Liberi di sognare. Parole che insieme aprono uno scenario infinito di visionaria immaginazione: il respiro della libertà coniugato al sogno che è insieme desiderio, leggerezza, impossibile che diventa possibile, futuro oltre il presente. POP/BEAT – Italia 1960-1979 Liberi di Sognare è la mostra ideata e curata dall’artista Roberto Floreani per il Comune di Vicenza e Silvana Editoriale che sarà possibile visitare fino al 30 giugno 2024 negli spazi della Basilica Palladiana di Vicenza.

Un progetto di pittura, scultura, video e letteratura, inedito per l’Italia, con 100 opere di 35 artisti provenienti dai principali musei, gallerie e collezioni private nazionali, opere originali e autonome dalle suggestioni americane. Quasi un ‘riscatto’ delle testimonianze Pop e Beat italiane rispetto a quelle d’Oltreoceano, perché finora non altrettanto adeguatamente raccontate, a rivendicarne distanza, indipendenza e peculiarità. Un viaggio magico, divertente e suggestivo per la fantasia delle forme e l’allegria dei colori.

“Una mostra viva, comprensibile, popolare”, dice Floreani, artista, scrittore e performer, considerato oggi il più maturo e convincente astrattista in Italia. Una mostra di grande impatto, grazie anche all’esperienza ormai quarantennale di Floreani, maturata nell’allestimento delle proprie mostre in spazi museali, che punta a combinare la semplicità di lettura e la spettacolarità. E la prima frase di Carmelo Bene riportata nel tabellone d’ingresso della mostra è già significativa, con tutta evidenza riferita alla sua ricerca in ambito astratto: “Per parlare di un artista e di un poeta ci vuole un artista e ci vuole un poeta”.

“Credo sia importante ricordare – dice Floreani all’Adnkronos – come il Novecento sia stato segnato dalle intuizioni di artisti-teorici che hanno indicato la via: Umberto Boccioni con i suoi Manifesti futuristi su pittura, scultura e architettura, Lucio Fontana sullo Spazialismo con altrettanti Manifesti e Piero Manzoni con i suoi due numeri della rivista Azimuth. Ricordando anche la componente teorica degli astrattisti italiani degli anni ’30 e ’50. La figura dell’artista-teorico è quindi seminale per una lettura corretta del contemporaneo”.

Perché Liberi di Sognare? “Il periodo storico 1960-1979 considerato attraversa una stagione decisiva per l’Italia – spiega l’artista – Il 1960 è l’anno del film La dolce vita di Fellini, periodo del boom economico, dell’uscita dall’incubo della guerra, della fame, delle città ridotte a cumuli di macerie. Leggerezza che si intuisce dalla centralità riservata all’immagine nelle opere, dalla necessità di un racconto diretto, leggibile con immediatezza, vivo, colorato, suggestivo, di grande libertà nell’uso dei materiali più diversi, dominati da una prorompente libertà creativa. A tale proposito, il gallerista Plinio De Martiis, mentore di buona parte degli artisti pop presenti in mostra, dichiarerà: ‘La Pop me la ricordo allegra’”.

Da Roberto Floreani, artista considerato l’astrattista di riferimento della sua generazione, con la passione per il Futurismo, l’idea di una mostra sulla Beat Generation e la Pop Art italiane. C’è un filo? Come nasce il progetto? “C’è sicuramente una componente autobiografica nella scelta del periodo – risponde Floreani – per aver attraversato personalmente quegli anni e per aver condiviso quel ‘sentire comune’ di ottimismo, voglia di fare, ricerca d’indipendenza, di libertà; ma motivazione che deriva anche dalla necessità di esaminare quanto mi ha preceduto sul versante artistico. Il celebre artista David Hockney afferma che ogni artista, prima o poi, deve chiedersi che ruolo riveste nella storia dell’arte e penso che conoscere bene il percorso storico-artistico sviluppatosi fino ad oggi possa essere decisivo per una corretta e piena consapevolezza da orientare sulla propria ricerca”.

“I 35 artisti sono stati tutti scelti – sottolinea – riportando virgolettato quanto loro stessi raccontavano del loro lavoro: non ho nessuna velleità critica, quanto documentaria sulla ricerca di colleghi che sono stati efficaci testimoni del loro tempo. Umberto Mariani, Fernando De Filippi e Sergio Sarri, presenti in mostra e all’inaugurazione, hanno dichiarato che si tratta probabilmente della mostra sulla Beat italiana più convincente fatta fino ad oggi nel nostro Paese. Ho selezionato le opere una ad una per la loro qualità e rappresentatività, approfittando della presenza delle mie nelle collezioni di Intesa-Gallerie d’Italia, del Mart di Rovereto, del Mambo di Bologna, che mi hanno messo nelle condizioni di avere un rapporto diretto con le loro collezioni. La produzione del progetto e la grande professionalità di Silvana, mio editore e autentico riferimento in Italia, hanno fatto il resto”.

In mostra troveremo “cento opere di 35 artisti: Schifano, Ceroli, Adami, Del Pezzo, Baj, Rotella, Pascali, Marotta, Gilardi e molti altri: cubi giganti, giraffe alte due metri, segnali stradali immaginari, tappeti-natura: una mostra immediata, popolare, adatta per tutte le età che stimola l’immaginario in un clima rasserenante, accompagnati dalla musica di quegli anni, Caterina Caselli, i Rokes, i Corvi, Lucio Battisti, i Camaleonti, che andrà in loop negli spazi indimenticabili della Basilica Palladiana, dichiarata dall’Unesco bene dell’umanità”.

Una mostra molto spettacolare quindi. Quali le novità esclusive? “E’ una mostra del tutto inedita per il racconto del ‘sentire comune’ della Pop in arte e la Beat in letteratura – spiega il curatore del progetto – riscoprendo autori misconosciuti come Gianni Milano e Aldo Piromalli o addirittura sconosciuti come Nat Scammacca (definito dal beat americano Lawrence Ferlinghetti come il migliore poeta beat italiano) e il suo Antigruppo siciliano, che conferisce finalmente identità nazionale alla Beat italiana. Viene inoltre ribadita l’indipendenza degli artisti e poeti italiani dal modello americano, fino ad oggi considerato dominante, precisando che gli stessi americani già nel 1963 ritenevano la ricerca italiana talmente indipendente da potersi chiamare Neo-Futurismo”.

Una mostra che è anche una grande festa collettiva, in cui Vicenza diventa un autentico laboratorio con eventi collaterali ad hoc proposti in alcuni dei principali luoghi monumentali della città. Ad essere coinvolte sono anche le scuole, a partire da una specifica sezione didattica allestita al piano terra della Basilica Palladiana. La mostra è accompagnata da un catalogo edito da Silvana Editoriale, a cura di Roberto Floreani, con testi di Roberto Floreani, Gaspare Luigi Marcone, Alessandro Manca.

Dai sogni di allora a quelli di oggi… l’artista Floreani cosa vuol esser libero di sognare? “Cerco di realizzare il sogno di poter dipingere, vivendolo come un privilegio salvifico: Ballare cantare, scrivere, recitare, fare il teatro, la poesia […] ma voglio farlo da pittore perché dipingere non è un modo di fare, ma un modo di essere… che poi non è una mia affermazione, ma di Renato Mambor, artista presente in mostra”.

E l’uomo Floreani cosa sogna? “Non lo so se il sogno rappresenti la finalità dominante della mia vita: dipingendo vivo un sogno lungo un giorno, ogni giorno. Ma combatto anche contro la deriva materialista dell’affermazione del prezzo sul valore con tutti i mezzi a mia disposizione, ribadendo la mia convinta adesione a quella Storia eroica dell’Astrazione, così definita dal filosofo Jean Baudrillard, che pone la componente spirituale al suo centro come irrinunciabile. Mi adopero poi per rimettere qualche casella storica al suo posto iniziando dal Futurismo, come ricordava in precedenza, prima Avanguardia storica del Novecento. Non casualmente, anche la Pop italiana avrebbe potuto chiamarsi Neo-Futurismo, infatti, come suggerisce anche la frase di Lucio Fontana che ho deciso di applicare alle pareti, nell’ultima sala in uscita dalla mostra: ‘Nulla verrà distrutto del passato, né mezzi né fini, siamo convinti che si continuerà a dipingere e a scolpire anche attraverso le materie del passato […] ma saranno pervase da sensibilità più affinata’. Affiniamo la sensibilità, quindi”.

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