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Donne russe

Festa fatta alle donne russe

Soltanto il 7% dei russi sa che l’8 marzo è una giornata dedicata alla lotta per i diritti delle donne

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Festa fatta alle donne russe

Soltanto il 7% dei russi sa che l’8 marzo è una giornata dedicata alla lotta per i diritti delle donne

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Festa fatta alle donne russe

Soltanto il 7% dei russi sa che l’8 marzo è una giornata dedicata alla lotta per i diritti delle donne

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Soltanto il 7% dei russi sa che l’8 marzo è una giornata dedicata alla lotta per i diritti delle donne

Mosca – Il sito “Mail.ru” ha recentemente condotto un sondaggio con cui si è venuti a sapere che soltanto il 7% dei russi sa che l’8 marzo è una giornata dedicata alla lotta per i diritti delle donne. La metà delle russe stesse percepiscono la festa soprattutto come un’occasione di relax (dal 1965 è giornata non lavorativa) e un altro terzo spera di ricevere dei regali dai propri cari.

Nella storia del Paese questa data ha però avuto un significato particolare. Fu proprio l’8 marzo (o il 23 febbraio del vecchio calendario ortodosso) del 1917 che a Pietrogrado le operaie delle fabbriche di tessitura del quartiere di Vyborg iniziarono uno sciopero rivendicando “Pane e Pace!”, dando di fatto il via alla Rivoluzione democratica di Febbraio che rovesciò il regime zarista. Dopo la Rivoluzione d’Ottobre l’uguaglianza politica delle donne fu sancita nella prima Costituzione sovietica (1918). Attraverso una serie di atti le autorità dell’epoca equipararono completamente le donne agli uomini, adottarono misure per proteggere la maternità e sancirono il principio della parità di retribuzione. Insomma, inizialmente la politica del giovane Stato sovietico nei confronti della famiglia fu estremamente liberale e avanzata. Nel 1918 entrò in vigore il primo codice di famiglia sovietico – che all’epoca fu considerato molto democratico anche per gli standardoccidentali – e la Russia fu il primo Paese al mondo a legalizzare divorzio e aborto.

Tuttavia questa fase durò ben poco e negli anni Trenta la situazione cambiò radicalmente. L’Urss iniziò ad adottare attivamente misure draconiane in materia: dal 1936 divennero illegali sia l’interruzione della gravidanza sia lo scioglimento del matrimonio. Stalin riteneva che i bolscevichi della prima ora si fossero spinti troppo in là e che i divieti avrebbero favorito un’inversione del crollo demografico (soprattutto maschile) dovuto alla Prima guerra mondiale e poi alla guerra civile. Ma così non fu. Ora, per sciogliere un matrimonio, la coppia doveva attraversare sette gironi infernali, a partire da un interrogatorio nell’ufficio del procuratore fino all’annuncio sul giornale locale della loro intenzione di distruggere la famiglia. La violazione dei diritti degli infelici coniugi durò fino al 1965. Per quanto riguarda l’aborto le conseguenze furono, se possibile, ancora più disastrose. Secondo uno studio recente, realizzato dalla professoressa Viktoria Sakevich, «la mortalità per aborto indotto dalla donna stessa o illegale aumentò immediatamente. Nel 1935 le morti per aborto rappresentavano il 26% e all’inizio degli anni Cinquanta superarono il 70%». Soltanto con la destalinizzazione il diritto all’aborto tornò legale.

Malgrado ciò le donne giocarono un ruolo decisivo prima per respingere l’assalto del nazismo (si legga a tale proposito lo splendido libro di Ritanna Armeni “Una donna può tutto”) e poi nelle dinamiche dell’urbanizzazione post bellica. Madre e lavoratrice, la donna russa (oltre il 90% delle donne in Urss era occupata) fu il vero collante sociale che tenne in piedi il Paese negli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso quando alcolismo, depressione e guerra in Cecenia divennero la causa principale dei decessi maschili.

di Yurii Colombo 

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