Noi l’avevamo detto e non è un’auto complimento. Anzi. La posizione de “La Ragione” in vista dell’elezione del presidente della Repubblica era nota da tempo, risale alla scorsa estate e non è certo frutto di particolari doti di preveggenza o di spiccate capacità di lettura dei ‘segnali’ inviati in Transatlantico fra gli opposti schieramenti. Si è sempre trattato solo di banale buon senso.
Ci torneremo, perché a dirla tutta il nostro auspicio era sempre seguito da un’importante specifica: la rielezione di Sergio Mattarella e la contestuale permanenza di Mario Draghi a Palazzo Chigi avevano un pieno senso politico se ottenute al primo scrutinio. Insomma, non solo non ci avevamo preso del tutto (ce ne faremo una ragione), ma soprattutto non è andata neanche un po’ come sarebbe dovuta andare nell’interesse dell’Italia. Un conto, infatti, sarebbe stato presentarsi domenica scorsa con l’accordo già fatto per il bis – incredibile a ripensarci, è passata una settimana fra blitz, agguati, figuracce, sogni infranti, incubi sfiorati e tanta, tanta arroganza – e votare a valanga lunedì. Tutt’altra faccenda è ridursi alla mossa della disperazione. Per essere più chiari, presentarsi con il cappello in mano, gli occhi bassi e le guance rosse dal presidente della Repubblica uscente, non per dire «Lei è la nostra risposta alle esigenze del Paese» ma solo per chiedere di evitare un disastro epocale, frutto di incompetenza e ignavia. Non dimentichiamo che al colloquio decisivo con Mattarella ci ha dovuto pensare il presidente del Consiglio Mario Draghi. L’unico a poter ancora alzare il telefono e chiamare il capo dello Stato, senza trovare la segreteria telefonica.
Tutto bene quel che finisce bene? Neanche per idea e diciamocelo con assoluta franchezza: questi giorni ci hanno ricordato, per quanto non ne sentissimo assolutamente il bisogno, con che razza di personale politico abbiamo a che fare. È sin troppo facile immaginare, a questo punto, quale potrà essere il tenore del confronto elettorale da qui a un anno.C’è da far tremare i polsi, pensando a quello che abbiamo rischiato e tante volte elencato in queste pagine, ma anche al futuro prossimo. Un anno, per quanto lungo, passa sempre in fretta e lor signori ci hanno testimoniato da lunedì a sabato di cosa siano capaci. In altri articoli di questa edizione straordinaria dedicata alla (ri)elezione del presidente della Repubblica, troverete le analisi e gli approfondimenti sui complessi snodi che attendono il governo e il Paese già dalle prossime settimane. In questa domenica che qualcuno proverà a tramutare di festa e celebrazione, conviene fare ciò che in troppi considerano ormai un’attività oziosa: riflettere con calma e freddezza sulla realtà che si è venuta a creare.
La consapevolezza da cui è bene prendere le mosse, per rimettersi subito al lavoro, è che stiamo decisamente peggio di una settimana fa. In sette giorni abbiamo dilapidato una quota della fiducia e della credibilità che il governo Draghi aveva saputo costruire. Per i motivi sopra esposti, la rielezione di Sergio Mattarella non è a costo zero e coinvolge tanto per cominciare lo stesso capo del governo. L’ex presidente della Bce, nei cui confronti qualcuno ha cercato di consumare assurde vendette determinate solo dalla propria pochezza, sarà da oggi alle prese con una maggioranza sfibrata.
Si riparte da qui, provando a schivare i detriti dell’implosione di un’intera classe politica. Fallita.
di Fulvio Giuliani
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