Def, Pnrr e conti alla mano
La crescita che il governo aveva previsto per il 2024 era pari all’1,2%. Previsioni serie ne avevano evidenziato lo scarso realismo. Ecco il perché
Def, Pnrr e conti alla mano
La crescita che il governo aveva previsto per il 2024 era pari all’1,2%. Previsioni serie ne avevano evidenziato lo scarso realismo. Ecco il perché
Def, Pnrr e conti alla mano
La crescita che il governo aveva previsto per il 2024 era pari all’1,2%. Previsioni serie ne avevano evidenziato lo scarso realismo. Ecco il perché
La crescita che il governo aveva previsto per il 2024 era pari all’1,2%. Previsioni serie ne avevano evidenziato lo scarso realismo. Ecco il perché
Per capire il Def si deve guardare al Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza). Per individuare la ragione di quel che il governo non riesce a scrivere si deve comprendere quel che il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, riesce a dire. E non è gradevole che serva un racconto per tenere il conto. Fino a qualche settimana fa si sosteneva che tutti i tempi relativi al Pnrr, ovvero alla capacità di spendere i fondi europei e di adempiere agli impegni presi, erano rispettati. Puntuali e semmai in anticipo. Di ciò si presentavano due prove: a. la Commissione europea non aveva mosso alcun rilievo; b. i ratei erano stati tutti puntualmente incassati. Non tutti abbiamo bevuto quelle spiegazioni come succo di verità, intanto perché qualche ritardo e ritocco c’era stato negli incassi e poi perché non vedevamo la realizzazione di quelle riforme che il Pnrr stesso – nonché il buon senso – vuole come essenziali affinché la spesa per investimenti funzioni, chiami capitali privati e inneschi la necessaria crescita.
La partita, sostenevamo, non può e non deve essere ridotta a una gara degli incassi. Ma niente, il ministro Fitto ribadiva l’assenza di quale che sia problema e la stessa presidente del Consiglio si rivolgeva sicura al Parlamento, quasi a dire che si doveva essere animati da spirito antinazionale per sostenere che l’Italia avesse accumulato ritardi o mancanze. Poi è arrivato Giorgetti. Premettendo che «Mi dicono che non si dovrebbe dire», il ministro ha preso per sé il ruolo della persona che non tace le cose e si muove in nome del realismo. E che dice? Che la scadenza del 2026, entro la quale tutti i soldi devono essere spesi, è fuori dalla realtà ed è onesto dirsi che non potremo rispettarla, talché si negozierà con la Commissione un dilazionamento dei termini. Naturalmente sa benissimo due cose: 1. ci sono Paesi che non hanno gioito per quei fondi europei e per il loro accendere debito comune, come non si sono sentiti rassicurati dal fatto che l’Italia ne fosse la principale beneficiaria (e sono gli stessi che non vorrebbero mai si continuasse su quella strada, sicché il fallimento o anche il solo ritardo italiano sarebbe il migliore contributo alle loro obiezioni); 2. la Commissione con cui discutere i ritardi non è quella presente ma la futura, sicché gli inadempimenti italiani andranno nella pentola della discussione sulla sua futura definizione e votazione.
Ora che abbiamo ripassato la condizione del Pnrr, veniamo al Def approvato ieri. Lo stesso Giorgetti, improvvisamente loquace, aveva premesso che non sarebbero servite manovre correttive. Il che o è la premessa di una perdita di credibilità o la convinzione profonda di poter disporre di un potere di controllo e compressione dei conti che fin qui gli è mancato. Leggendo il documento, si apprende quindi che il costo del bonus 110% lievita ogni volta che lo si ricalcola e che la spinta alla crescita futura della ricchezza, innescata dal Pnrr, non si riesce a calcolarla. Per forza: la prima cosa perché una norma fatta con i piedi si impedì di correggerla a chi aveva un po’ di testa; mentre se chi presiede ai conti dice che siamo fuori dai tempi non si può poi pretendere che contabilizzi gli effetti, nel tempo prevedibili, degli investimenti (non) fatti. Il resto è contabilità frutto del non riuscire a fare i conti con il tempo a venire, anche perché non sono chiusi quelli con il tempo passato. La crescita che il governo aveva previsto per il 2024 era pari all’1,2%. Previsioni serie ne avevano evidenziato lo scarso realismo. Ora è fissata all’1%, ovvero lo 0,2% in meno ma pur sempre lo 0,4% in più di quel che prevede la Banca d’Italia (e non solo). Vale quanto scrivemmo con la prima previsione: se si sovrastima la crescita si sottostima l’incidenza del deficit e del debito, dovendo poi correggere i conti. Giorgetti riconosce la sovrastima, persevera nell’esercizio e afferma che non ci sarà bisogno di correzioni. Come queste cose possano stare assieme mi è ignoto.
Di Davide Giacalone
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