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Pancreas, scoperta impronta digitale molecolare delle lesioni che annunciano tumori

12 Aprile 2024

Roma, 12 apr. (Adnkronos Salute) – Scoperta l’impronta digitale molecolare delle lesioni pre-tumorali del pancreas. Uno studio appena pubblicato su ‘Nature Communications’ dal gruppo di ricerca di Giampaolo Tortora, professore di Oncologia medica all’Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore del Comprehensive Cancer Center del Policlinico Gemelli di Roma, ha individuato dei biomarcatori tessutali specifici – una sorta di impronta digitale molecolare, appunto – che consentono di distinguere con certezza le forme benigne da quelle ad alto grado di malignità o ad alto rischio di trasformazione maligna. Un rompicapo, finora, per i medici, vista la difficoltà a differenziale e riconoscere quelle da sorvegliare.

Per arrivare a questi risultati, i ricercatori di Università Cattolica – Gemelli hanno esaminato una quantità incredibile di dati su pezzi operatori di pazienti trattati al Gemelli nel corso degli ultimi dieci anni, avvalendosi di analisi omiche e in particolare di sofisticate tecnologie di trascrittomica e proteomica spaziale.

Il loro lavoro ha consentito di individuare sul tessuto tumorale le ‘firme molecolari’ che indicano una displasia di basso grado (Hoxb3 e Znf117), quelle dei casi ‘borderline’ (Spdef) e infine i marcatori di displasia di alto grado, cioè delle forme sicuramente maligne (Nkx6-2). Non solo. Questa ricerca getta luce anche sul ruolo dell’attivazione di alcuni geni (TnfAlfa e Myc) nella progressione dei tumori mucinosi papillari intraduttali (Ipnm) da una forma benigna a una maligna (adenocarcinoma pancreatico duttale, o Pdac).

“Ad ora la stratificazione del rischio degli Ipmn – spiega Tortora – viene fatta solo in base alle caratteristiche cliniche (ad alto rischio sono soprattutto gli Ipmn che si sviluppano nei dotti principali) e radiologiche (Tac, Rmn), mentre non si disponeva di criteri che tenessero conto della loro biologia. Questo fa sì che fino al 10% degli Ipmn considerati a basso rischio – ammette l’esperto – sfugga a una corretta valutazione e, nel tempo, possa dar luogo a un tumore aggressivo”. La ricerca appena pubblicata è stata supportata da un grant della Fondazione Airc, assegnato al progetto di Carmine Carbone, team leader dello studio e ricercatore di Fondazione Policlinico universitario Agostino Gemelli Irccs.

Le neoplasie mucinose papillari intraduttali pancreatiche – spiegano gli esperti del Gemelli – sono lesioni cistiche che si sviluppano all’interno dei dotti pancreatici e che contengono al loro interno dei ‘tralci’ di tessuto (proiezioni papillari) rivestiti di epitelio mucoso. La frequenza di queste cisti dal comportamento incerto, che si scoprono per caso in occasione di una Tac o una risonanza fatte per altro motivo, è in aumento e cresce con l’avanzare dell’età. Una recente metanalisi della Mayo Clinic (Usa) rivela che gli Ipmn vengono scoperti per caso nell’11% circa degli over 50 sottoposti a Tac addominale. Mancano però dati certi di prevalenza e incidenza. “Una necessità assoluta è quella di creare un registro italiano degli Ipmn – sottolinea Tortora – perché siamo certi che il loro numero sia ampiamente sottostimato”.

Questi tumori originano dai dotti pancreatici e sono considerati precursori dell’adenocarcinoma duttale pancreatico, una neoplasia estremamente aggressiva, contro cui si dispone di limitate opzioni terapeutiche. Quali evolveranno in questa direzione? La ricerca condotta alla Cattolica e al Gemelli dà proprio un contributo all’individuazione delle lesioni ad alto potenziale di trasformazione maligna. “E si tratta di un’indicazione importante – rimarca Tortora – perché se è fondamentale individuare le lesioni ad alto rischio di trasformazione maligna, altrettanto determinante è definire le caratteristiche di ‘benignità’, per evitare ai pazienti un intervento chirurgico inutile, molto invasivo e non privo di rischi”.

Una diagnosi di precisione. “Con un paziente e minuzioso studio di trascrittomica e proteomica spaziale effettuato su tessuto (cioè sul pezzo operatorio) – ricostruisce Carbone – abbiamo analizzato una a una le cellule che compongono gli Ipmn per studiarne l’Rna e le proteine corrispondenti, rispettando la citoarchitettura del tessuto. Così è stato possibile evidenziare che le forme a minore o a maggior rischio di trasformazione maligna si differenziano per l’espressione di alcuni geni e proteine. In particolare, l’espressione del gene Nkx6-2, conferisce un aumentato rischio di differenziazione maligna; al contrario, l’espressione dei geni Hoxb3 e Znf117 indica una displasia di basso grado, una condizione di benignità. Il prossimo step consisterà nella ricerca di un biomarcatore prognostico di trasformazione tumorale nel sangue”. E in futuro “potremmo ipotizzare la messa a punto di trattamenti in grado di bloccare le ‘vie’ molecolari attraverso cui viaggia la trasformazione di una lesione pre-cancerosa in una tumorale: un anti-Myc è già allo studio. Ma c’è di più. Con la teranostica si potrebbe provare a coniugare un anticorpo mirato contro l’Nkx6-2 con un radiofarmaco per andare a colpire con precisione, sfruttando il ‘nucleare buono’ le cellule tumorali che esprimono questo gene, indice di malignità”, conclude Carbone.

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