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Per negoziare in Ucraina si deve volerlo in due

Per negoziare si deve essere almeno in due, come per ballare il tango, mentre se uno negozia e l’altro spara non è difficile immaginare come possa andare a finire

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Per negoziare in Ucraina si deve volerlo in due

Per negoziare si deve essere almeno in due, come per ballare il tango, mentre se uno negozia e l’altro spara non è difficile immaginare come possa andare a finire

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Per negoziare in Ucraina si deve volerlo in due

Per negoziare si deve essere almeno in due, come per ballare il tango, mentre se uno negozia e l’altro spara non è difficile immaginare come possa andare a finire

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Per negoziare si deve essere almeno in due, come per ballare il tango, mentre se uno negozia e l’altro spara non è difficile immaginare come possa andare a finire

I bambini dell’ospedale pediatrico di Kiev non sono morti perché ammazzandoli Putin creda di vincere la guerra. Neanche sono morti per terrorizzare gli ucraini e spingerli alla resa, perché anche il più stupido criminale ha capito che non cederanno mai e che, semmai, si sta coltivando un odio vendicativo che si trascinerà a lungo. Quei bambini sono morti affinché il loro sangue concimi la guerra politica e informativa che Putin conduce nel nostro mondo, nelle nostre democrazie occidentali. Sono morti, quei bambini, perché da noi crescano gli Orbán calabraghe e perdano forza i Macron, le Meloni, gli Sholz, il neoarrivato Starmer. Ma come Putin ha perso la guerra delle armi in Ucraina, ha anche perso la guerra politica in casa nostra. Gli rimane la carta, da giocare entro novembre, delle presidenziali statunitensi.

Trump sostiene che, se eletto, chiuderà la guerra in pochi minuti. Escludendo che intenda farlo combattendo sul campo, sarebbe interessante conoscere i termini negoziali di una tale sicurezza. Che si debba negoziare è il mantra che vola dalla destra putiniana alla sinistra putinofila e sarebbe anche bene farlo. Se non fosse che se uno bombarda con i missili gli ospedali pediatrici non si sa in che altra lingua debba dirti che non intende negoziare. Per negoziare si deve essere almeno in due, come per ballare il tango, mentre se uno negozia e l’altro spara non è difficile immaginare come possa andare a finire. Che le guerre è bene finiscano negoziando è un concetto presente nella nostra cultura, non in quella dei Putin. Se si vuole negoziare, non esiste quindi altra strada che usare la forza per fermare la forza criminale di quell’imperialismo accattone.

Quanto può andare avanti Putin, considerato il numero impressionante di russi che manda a morire, il rattrappirsi dell’economia di Mosca e il declassamento della Russia a Stato canaglia? Che la guerra sarebbe stata lunga lo avvertimmo all’inizio, al tempo stesso vedendola già persa per l’invasore incapace anche solo dell’invasione. Ma la resistenza da misurare non è quella di Putin e neanche quella dei cani arrabbiati che gli fanno da compari, dalla Corea del Nord all’Iran: il padrone dei tempi della guerra è cinese, come cinese sarà il padrone della Russia, grazie a Putin. Da lì viene la vera sfida, che non ha neanche bisogno di ammazzare bambini malati, lasciando che a questo provveda il sicario perdente.

Il vertice Nato ha sul tavolo quella sfida, dovendo comunque contenerne gli effetti sul campo. Ragione per cui l’Ucraina non sarà abbandonata al suo destino, altrimenti diventerebbe il nostro. Il negoziato va condotto con la Cina, dimostrandole perdente la scelta di sostenere le canaglie e conveniente quella di crescere nei commerci. Ma da noi c’è gente che anziché negoziare preferisce il negozio e vendersi, come quanti caldeggiarono la firma in calce alla Via della Seta. La firmò Orbán e la firmò Conte (governo con la Lega, che si vantò anche di averne il negoziatore fra le file). Ed è un interessante tratto comune dei sovranisti: aprire il negozio per vendere la sovranità a chi sappia alimentare il disagio innanzi alle democrazie, all’Occidente e alle libertà. Gente che ora si ritrova in un gruppo parlamentare europeo che li raccoglie sotto la guida dei perdenti francesi e del più furbo fra loro: Orbán. Anche lui ha il negozio come scopo, ma lo fa per i fatti propri.

L’elezione del nuovo presidente americano non è certo irrilevante, ma non succederà – chiunque vinca la pessima gara – quel che Philip Roth paventava nel suo “Il complotto contro l’America” (pubblicato nel 2004 e che immaginava un 1940 in cui alla presidenza fosse eletto uno dalla parte di Hitler). Non succederà comunque, anche perché la strategia putiniana ha perso in tutta quanta l’Unione europea. Ciò conta, le altre questioni sono secondarie.

Intanto i propugnatori del negoziato, con un criminale che non intende negoziare, si chiedano il perché di quei bambini ammazzati. E comincino a negoziare con la propria coscienza.

di Davide Giacalone

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