Caso Yara: Bossetti e Ruggeri in aula, gip Venezia si riserva su pm (2)
(Adnkronos) – In aula la procuratrice aggiunta di Venezia Paola Mossa ha ribadito la sua tesi, messa nera su bianco nella richiesta di archiviazione: Letizia Ruggeri ha agito con “correttezza”, non mostrando “nessuna ‘ansia di distruzione'”. Se “è vero che nel provvedimento di confisca la corte d’Assise fa riferimento alla non opportunità di provvedere, allo stato, alla distruzione dei reperti, e che il deposito degli stessi in luogo non dotato di congelatori ne avrebbe probabilmente alterato l’integrità”, il cambio di luogo è solo una “soluzione di prudenza da parte del giudice” i cui costi economici – dopo la pronuncia della Cassazione sull’omicidio – le sarebbero potuti costare “l’ipotesi di una responsabilità sotto il profilo contabile”.
Soprattutto – e su questo sembra concordare anche la difesa dell’indagata – “non vi era poi alcuna ragione perché la Ruggeri dovesse ‘temere’, così da volerlo impedire, il giudizio di revisione e con esso la possibilità di pervenire a un risultato diverso. La prova scientifica su cui si fonda il giudizio di responsabilità a carico del Bossetti è risultata assolutamente solida e non vi sono elementi per ritenere che accertamenti successivi e ulteriori possano inficiarla”. Di opposto avviso la difesa di Bossetti che chiede il rinvio a giudizio della pm Ruggeri, la quale “nessun diritto aveva di distruggere i campioni (…). Ha agito in modo consapevole, in modo tale da rendere i reperti biologici inservibili per nuove indagini” è la tesi esposta nell’istanza alla opposizione all’archiviazione.
Così avrebbe messo in atto “un’attività criminale, un abuso inaccettabile, una violenza gratuita” distruggendo i campioni di Dna che hanno portato alla condanna di Bossetti e che, “se sottoposti a nuovo esame (ancora possibile in stato di corretta conservazione come affermato dai consulenti tecnici Lago e Casari al pm di Venezia), avrebbero potuto scagionarlo”. Questi reperti “sono stati distrutti non per caso fortuito o forza maggiore”, ma da “un’attività ordinata da chi quei reperti li doveva, per legge, custodire” per il timore che quel Dna “non avrebbe restituito il medesimo risultato, ‘smontando’ così, una inchiesta dai costi esorbitanti”. Due, di fatto, i nodi che il gip di Venezia dovrà sciogliere: se Letizia Ruggeri era consapevole che spostando le provette avrebbe potuto comprometterne l’integrità e se questa scelta abbia avuto come fine quello di depistare le indagini.
La Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
Leggi anche