“Luck and Strange”, il ritorno di David Gilmour
David Gilmour torna dopo nove anni con un nuovo disco, “Luck and Strange”, che abbiamo ascoltato in anteprima. Ecco cosa ne pensiamo
“Luck and Strange”, il ritorno di David Gilmour
David Gilmour torna dopo nove anni con un nuovo disco, “Luck and Strange”, che abbiamo ascoltato in anteprima. Ecco cosa ne pensiamo
“Luck and Strange”, il ritorno di David Gilmour
David Gilmour torna dopo nove anni con un nuovo disco, “Luck and Strange”, che abbiamo ascoltato in anteprima. Ecco cosa ne pensiamo
David Gilmour torna dopo nove anni con un nuovo disco, “Luck and Strange”, che abbiamo ascoltato in anteprima. Ecco cosa ne pensiamo
Quando si pensa alla chitarra elettrica e a chi impugnandola ha saputo diventare un’icona è impossibile non citare David Gilmour. Chitarrista inconfondibile per tocco e musicalità, ha scritto con i Pink Floyd pagine indelebili di storia del rock per poi dedicarsi a una carriera solista di successo tra stadi, arene sold out e dischi di indubbio valore artistico. Da qualche anno a questa parte, tuttavia, molti lo volevano già in pensione e sembrava aver appeso la chitarra al chiodo, immerso nella tranquillità e nel calore della sua famiglia e nelle passeggiate in campagna. Niente di più sbagliato, le apparenze ingannano. E così, dopo un primo singolo uscito nel lontano 2020 a interrompere il silenzio, qualche mese fa ecco arrivare prima le immagini in studio, poi le voci a susseguirsi e infine l’atteso annuncio di un nuovo disco – “Luck and Strange” – in uscita il prossimo 6 settembre con annesso tour mondiale, che vedrà la sua anteprima assoluta proprio in Italia nelle sei date già sold out al Circo Massimo di Roma, le uniche nell’Europa continentale.
Abbiamo avuto la possibilità di ascoltare a lungo il disco e possiamo dirvi che i nove anni di attesa sono valsi fino all’ultimo minuto. Registrato nell’arco di cinque mesi fra Brighton e Londra, “Luck and Strange” vede Gilmour affiancarsi nella produzione a Charlie Andrew, che ha saputo traghettarlo in un impasto musicale contemporaneo, in mondi sonori inesplorati, per un disco che suona unitario nel sound, nelle tematiche e nella direzione, con ogni strumento e suono al posto giusto. Disse Gilmour di Andrew: «Ha una meravigliosa mancanza di conoscenza e rispetto per il mio passato musicale. È molto diretto e non si lascia intimidire in alcun modo e questo mi piace molto. È ottimo per me, perché l’ultima cosa che voglio è che le persone con cui lavoro si rimettano a me». Aveva ragione. Gli arrangiamenti orchestrali così come i cori – tra le voci la figlia Romany, che nel disco suona l’arpa e canta la bellissima cover del brano dei Montgolfier Brothers “Beetween Two Points” – sono dosati ed emergono là dove necessario, donando ai singoli brani profondità emotiva, respiro e tridimensionalità, per un disco che sa ruggire, pur in una pacifica malinconia. L’architrave sonoro è sorretto da una spina dorsale ritmica fondamentale, secca e presente. I testi, scritti quasi interamente (come da più di trent’anni a questa parte) dalla penna della moglie Polly Samson, intessono di brano in brano un unico discorso che fa perno sull’ineluttabilità della morte, sulla vecchiaia che avanza e sul tempo che passa, con i suoi giorni, le sue sfide, gli amori e gli affetti che sfuggono via come sabbia tra le dita: la marea del tempo sale e scende, inevitabile e impossibile da fermare, con il mondo là fuori sempre più immerso nell’oscurità.
Ma è quando Gilmour lascia andare libera la sua chitarra che si compie definitivamente la perfetta magia, immutata nel tocco ma diversa nel canto, struggente e malinconica ma anche ruggente e graffiante nell’emergere sulle punte degli archi, tra le onde delle tastiere. Nove tracce che si aprono con “Black Cat”: una sorta di preludio strumentale che traghetta l’ascoltatore nell’universo sonoro del disco fino ad attraccare alla title track “Luck and Strange”. Figlia di una jam session del lontano 2007, che possiamo ascoltare integralmente in chiusura di disco, vede Gilmour dialogare in musica con l’organo Hammond e il piano elettrico del compianto Richard Wright, tastierista dei Pink Floyd scomparso nel 2008.
Si potrebbe scegliere di analizzare ogni singola traccia, di raccontarvi tutto per filo e per segno, ma vi toglieremmo la possibilità di scoprire da voi quello che probabilmente è il miglior disco della carriera solista di David Gilmour. Scegliamo quindi di raccontarvi soltanto uno di questi brani, benché la scelta non sia affatto facile, ed è “Scattered” (che chiude di fatto gli inediti del disco): uno di quei brani che ti fanno ringraziare il cielo d’averlo potuto sentire. Aperto da un battito cardiaco di darksidiana memoria con un testo commovente scritto a sei mani insieme alla moglie e al figlio Charlie, rappresenta indubbiamente la perla di questo lavoro, impreziosita da un break orchestrale da brividi e da un lunghissimo assolo di chitarra emotivamente lacerante, da lacrime agli occhi.
di Federico Arduini
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