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Amelio Castro Grueso

Sono rinato con scherma e fede, parla Amelio Castro Grueso

Per l’atleta Amelio Castro Grueso partecipare alle Paralimpiadi di Parigi come schermidore nella squadra dei rifugiati è stata un’impresa. Le sue parole

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Sono rinato con scherma e fede, parla Amelio Castro Grueso

Per l’atleta Amelio Castro Grueso partecipare alle Paralimpiadi di Parigi come schermidore nella squadra dei rifugiati è stata un’impresa. Le sue parole

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Sono rinato con scherma e fede, parla Amelio Castro Grueso

Per l’atleta Amelio Castro Grueso partecipare alle Paralimpiadi di Parigi come schermidore nella squadra dei rifugiati è stata un’impresa. Le sue parole

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Per l’atleta Amelio Castro Grueso partecipare alle Paralimpiadi di Parigi come schermidore nella squadra dei rifugiati è stata un’impresa. Le sue parole

Peccato per Amelio Castro Grueso che l’ottimismo non sia tra le discipline olimpiche, altrimenti avrebbe già una bacheca piena di medaglie d’oro. Si consola realizzando sogni, le presenze sul podio arriveranno. Il primo: aver partecipato alle Paralimpiadi di Parigi come schermidore nella squadra dei rifugiati. Arrivarci è stata un’impresa: «Ho lottato tanto, è stato bellissimo. Ma ho capito che la vita è uno specchio, ricevi quello che dai» ci racconta lui stesso. Se così fosse, avrebbe ancora moltissimo da riscuotere. A lui è stato tolto tanto: quando aveva 16 anni sua madre è stata uccisa, a 20 ha perso l’uso delle gambe a causa di un incidente. Costretto per quattro anni in un ospedale in Colombia (dov’è nato), la famiglia lo ha gradualmente abbandonato fino a lasciarlo solo. Eppure di quei momenti che avrebbero affossato chiunque il 32enne – dal 2022 rifugiato in Italia – parla così: «All’inizio è stato difficile, poi ho incontrato Dio. Proprio in quegli anni ho scoperto la fede: in mezzo a tutta quella sofferenza, in mezzo a tutta quella mancanza, ho capito che se credi alla fine le cose si risolvono. Dico sempre di essere un privilegiato perché ho la capacità di affrontare le difficoltà». Dote che ha allenato nel tempo, per spirito di sopravvivenza.

Lo sport è arrivato dopo e gli ha cambiato la vita: «Dopo tutto quello che mi è capitato volevo scrivere un libro per aiutare soprattutto i più giovani, perché – quando ti succede qualcosa di brutto – pensi che stia capitando solo a te. Credo invece che leggere la testimonianza di qualcuno che ha sofferto e che è riuscito ad andare avanti col sorriso possa essere fonte d’ispirazione. Così ho deciso di dedicarmi allo sport: ho pensato che vincendo una medaglia olimpica la mia storia sarebbe arrivata a molte più persone».

Il primo approccio (col basket) è andato male. La scherma invece lo ha rapito subito. Merito anche di un allenatore italiano, Daniele Pantoni, conosciuto per caso in Colombia durante una tappa della Coppa del mondo con la Nazionale italiana di spada: «Quando l’ho visto gli ho chiesto una lezione di scherma e lui ha accettato con piacere. Da quel giorno abbiamo iniziato a sentirci». Era il 2018, il suo viaggio in Italia nasce anche da quell’incrocio fortuito. Quando Castro Grueso è costretto a lasciare la Colombia e vola a Roma, Daniele Pantoni è in Australia con la Nazionale. Ma lo aiuta comunque a trovare una sistemazione provvisoria: «Sono stato prima alla Caritas, poi Daniele – quando è tornato – mi ha portato ad allenarmi al circolo sportivo delle Fiamme Oro. Qui si sono subito presi cura di me e sono stati sempre al mio fianco, fino a oggi».

Ora lo spadista colombiano vive come rifugiato nel Centro del sistema accoglienza e integrazione di 2° livello, nel quartiere romano di Centocelle. Da dove tutti i giorni affronta un viaggio di due ore – fra andata e ritorno – per arrivare in palestra: «Già è difficile vivere come rifugiato convenzionale, ma quando ti mancano le gambe lo è ancora di più. A volte i mezzi di trasporto non sono adatti agli spostamenti per persone con disabilità, quindi bisogna lottare per fare anche le cose più semplici. Ma se ce la faccio io, penso proprio che possano farcela tutti». Ecco ancora l’ottimismo, l’incrollabile fede. Emerge nonostante l’ultimo grande ostacolo all’orizzonte: a fine ottobre dovrà lasciare il Centro di accoglienza in cui si trova. Col rischio di rimanere ancora senza una casa: «Ma rimango comunque fiducioso. Non sarà facile, ma se Dio non mi ha abbandonato quando ero in ospedale senza potermi muovere, non lo farà neanche ora».

di Giacomo Chiuchiolo

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