Leucemia linfoblastica acuta, Rambaldi (UniMi): “800 diagnosi l’anno in Italia”
Milano, 30 set. (Adnkronos Salute) – “La Leucemia linfoblastica acuta (Lla) è un tumore del sangue molto aggressivo, che ha un picco di incidenza nella popolazione pediatrica, dove rappresenta il tumore più frequente. In Italia si stimano circa 800 nuove diagnosi l’anno, di cui 450 negli adulti”. Lo ha spiegato Alessandro Rambaldi, professore di Ematologia presso l’università degli studi di Milano, oggi, nel capoluogo lombardo, all’evento di presentazione, da parte di Amgen, dei risultati dello studio clinico di Fase III E1910 che dimostrano come l’introduzione dell’anticorpo monoclonale bispecifico blinatumomab in prima linea di trattamento, aumenti significativamente la sopravvivenza globale dei pazienti affetti da leucemia linfoblastica acuta (Lla) da linfociti B Ph- di nuova diagnosi.
“In questi ultimi trent’anni il successo terapeutico ha registrato esiti straordinari nella popolazione pediatrica – sottolinea l’esperto – e questo è stato possibile grazie all’intensificazione delle cure chemioterapiche. Il bambino, infatti, ha una resistenza maggiore a queste terapie rispetto all’adulto, cosa che ha consentito di incrementare l’intensità della chemioterapia stessa. Nell’adulto, invece, per molti anni, i dati sono stati più deludenti. Proprio per questo, negli ultimi decenni, l’attenzione si è concentrata sulla ricerca di soluzioni terapeutiche contro la Lla maggiormente dedicate alla popolazione adulta”.
In questi vent’anni “abbiamo assistito a due importanti progressi – aggiunge Rambaldi – Il primo riguarda lo sviluppo delle tecniche di valutazione della malattia minima residua (Mrd), rese possibili dalla biologia molecolare, che ci ha consentito di guidare le scelte terapeutiche. Il secondo è lo sviluppo dell’immunoterapia, in particolare, l’uso del blinatumomab che, nei pazienti che avevano una quantità di Mrd misurabile, si è dimostrato capace di ridurre ulteriormente la quantità di malattia, riportando i pazienti in remissione duratura. Quello che ci riserva il futuro – conclude – è l’impegno di applicare a tutti i pazienti le tecniche di valutazione molecolare della malattia minima residua e di migliorare i risultati dei trattamenti, senza aumentare la tossicità”.
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