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Omicidio Saman, al via processo d’appello. Il padre: “Non l’ho uccisa”

27 Febbraio 2025

Bologna, 26 feb. (Adnkronos) – Al via oggi il processo d’appello per l’omicidio di Saman Abbas, la 18enne di origini pakistane uccisa a Novellara la notte tra il 30 aprile e il primo maggio 2021. Di fronte alla Corte d’Assise d’Appello di Bologna, il padre della vittima, Shabbar, e la madre Nazia Shaheen, condannata all’ergastolo in primo grado insieme al marito ed estradata in Italia ad agosto scorso. I genitori sono ritenuti i mandanti del delitto.

Prevista in aula anche la presenza dello zio Danish Hasnain, condannato a 14 anni. In tribunale sono arrivati anche i cugini della giovane, entrambi assolti in primo grado.

“Non si sono più visti né sentiti – ha spiegato all’Adnkronos il legale di Shabbar, l’avvocato Sheila Foti, riferendosi al suo assistito e alla moglie – Quando è arrivata in Italia, sia noi che il difensore della mamma di Saman abbiamo fatto istanza scritta alla Corte d’Assise d’Appello per chiedere l’autorizzazione perché potessero incontrarsi o quanto meno chiamarsi o videochiamarsi, ma l’hanno respinta”.

Richiesta, in questa nuova fase processuale, una perizia per comparare l’oggetto che Shabbar Abbas aveva in mano mentre le telecamere di videosorveglianza lo riprendevano di ritorno dopo l’uscita da casa di Saman, a mezzanotte. Non lo zainetto della figlia, come detto dall’imputato, ma “una busta che si porta in un certo modo”, spiega l’avvocato Foti. “Abbiamo allegato ai nostri motivi nuovi una consulenza tecnico-informatica che arriva a certe conclusioni, sostenendo la richiesta di perizia. La comparazione – aggiunge – è stata effettuata e si tratta di due cose diverse”.

“Io non c’entro niente con la morte di mia figlia” ha detto Shabbar Abbas al suo avvocato, che ribadisce: “E’ un uomo distrutto. Non è alla ricerca della vendetta, piuttosto della verità sulla morte di sua figlia perché non è assolutamente responsabile di quello che è accaduto. Per un uomo che ha perso la figlia e tutta la famiglia non è tanto l’ergastolo che può pesargli sulla testa, ma il fatto di non avere più nulla. Questo è il grosso fardello che porta sulle sue spalle e non c’é giorno che cambi. Quando la prima volta che l’ho incontrato gli ho chiesto per quale motivo avrei dovuto assumere la sua difesa – racconta – gli occhi che purtroppo non può vedere nessuno e che io vedo a colloquio mi hanno dato una risposta. Ho una figlia della stessa età della sua, e non me lo posso dimenticare. Cosa posso ottenere non lo so, quello che promesso all’imputato è il massimo impegno”.

In primo grado, oltre ai genitori di Saman condannati all’ergastolo perché ritenuti i mandanti dell’omicidio della figlia, era stato condannato a 14 anni lo zio Danish Hasnain, e assolti i due cugini della 18enne, Ikram Ijaz e Nomanhulaq Nomanhulaq. (di Silvia Mancinelli)

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