Piccoli family business crescono
Vari studi retrospettivi evidenziano gli aspetti positivi delle aziende del family business: meno debiti, più ricavi e migliori rendimenti

Piccoli family business crescono
Vari studi retrospettivi evidenziano gli aspetti positivi delle aziende del family business: meno debiti, più ricavi e migliori rendimenti
Piccoli family business crescono
Vari studi retrospettivi evidenziano gli aspetti positivi delle aziende del family business: meno debiti, più ricavi e migliori rendimenti
Fino a un decennio fa la narrazione da mainstream, abbastanza stereotipata, sosteneva che le aziende familiari erano troppo piccole, non abbastanza internazionalizzate, senza un management all’altezza della situazione. Inoltre c’era spesso l’insormontabile scoglio del passaggio generazionale che, se non sufficientemente guidato e armonico, le portava nelle braccia dei fondi di investimento ‘cattivi’. Quelli, per intenderci, alla Gordon Gekko di “Wall Street” (per chi l’avesse perso, è da leggere anche il bel libro di Ken Auletta intitolato “Greed and Glory on Wall Street”, pubblicato nello stesso periodo).
Icona del periodo alla metà degli anni Ottanta, il personaggio interpretato da un realistico Michael Douglas incarna nel cult movie di Oliver Stone il pescecane della finanza. Per la verità bisogna pure ricordare che specialmente nei Paesi europei molti fondi risultano meno aggressivi. Anche in seguito a una regulation più accurata che tende a proteggere gli investitori ‘pazienti’ invece di quelli puramente speculativi. Ecco quindi che in molti casi (se sapientemente gestiti dall’imprenditore) possono essere una leva utile allo sviluppo dell’azienda. Suggerendo,inoltre, strade alternative di crescita strategica alle quali magari non si era mai pensato prima. Sia per mancanza di fantasia sia per l’impossibilità tecnica di percorrerle da soli.
Adesso invece, fatti e rifatti i conti, emerge che la situazione sta evolvendo in maniera darwiniana. Non sbagliava il vecchio Lao Tzu. Filosofo cinese e fondatore del taoismo, con il suo adagio secondo cui fa più rumore un albero che cade di una foresta che cresce. Vari studi retrospettivi mettono in evidenza che, rispetto al resto del tessuto industriale, le aziende del family business presentano meno debiti, più ricavi con maggiori addetti e hanno un miglioramento dei rendimenti.
Inoltre la situazione progredisce anche sul versante del passaggio generazionale grazie a una new wave di giovani imprenditori più preparati e maturi, come ha messo in evidenza Roberto Mania nel libro “Capitalisti silenziosi. La rivincita delle imprese familiari” pubblicato da Egea. Resta vero che le aziende si ereditano, ma non più la loro guida se non si è all’altezza. Ed ecco allora farsi strada la netta dicotomia tra management e azionista. Che però bisogna imparare a gestire bene, perché altrimenti si pagano pesantissimi dazi, come si è visto recentemente in un mitico gruppo del Nord Est.
Certo, il family business non è stato esente da colpe. Già soltanto qualche decina di anni fa non era come oggi. E anche questo è un mutamento. Come lo è aver aperto strutturalmente le imprese ai manager esterni, scelti sulla base soprattutto delle capacità e non – come un tempo – della fedeltà. Con i manager si convive e si condivide la gestione. Non è più esclusivamente una questione dimensionale, anche se essere medi o grandi conta molto nei processi di managerializzazione. Si può non essere grandi ma risultare competitivi, presidiare quote importanti di mercato, mantenere la leadership in una certa produzione. E senza staccarsi dal territorio di origine.
Buone notizie anche per il passaggio del testimone. I modelli familiari risultano sempre quelli più diffusi, ma nell’ultimo decennio si sono ridotti di quasi 10 punti sia nelle società di maggiori dimensioni sia nelle piccole e medie imprese: «Anche se le ‘pantere grigie’ sulla tolda di comando sono ancora parecchie, negli ultimi tempi è iniziato il processo di inserimento dei giovani. E questa ‘nextgen’ sta dimostrando di avere le carte in regola, accompagnata dall’indispensabile estro imprenditoriale per portare avanti e far cresce le aziende ricevute in eredità» osserva Fabio Quarato dell’Università Bocconi.
Certo, qualche problema ancora esiste, ad esempio sul versante gender. Ma se solo fino a una decina di anni fa si diceva che il family business era troppo piccolo, non abbastanza internazionalizzato e senza un passaggio generazionale guidato e armonico, oggi questo stereotipo non è più vero.
Di Franco Vergnano
La Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
Leggi anche

Pazza in quanto donna

Il cordoglio e il cattivo esempio dell’Italia

Cosa resterà di un Papa fuoriserie?
