Primo maggio, retorica (stanca) e realtà del lavoro
Poche occasioni come la Festa del lavoro finiscono per essere affogate dalla retorica. Una giornata divisa fra richiami sempre uguali da decenni e gli appelli per così dire più “attuali”

Primo maggio, retorica (stanca) e realtà del lavoro
Poche occasioni come la Festa del lavoro finiscono per essere affogate dalla retorica. Una giornata divisa fra richiami sempre uguali da decenni e gli appelli per così dire più “attuali”
Primo maggio, retorica (stanca) e realtà del lavoro
Poche occasioni come la Festa del lavoro finiscono per essere affogate dalla retorica. Una giornata divisa fra richiami sempre uguali da decenni e gli appelli per così dire più “attuali”
Poche occasioni come la Festa dei lavoratori finiscono per essere affogate dalla retorica. Con le migliori intenzioni, ma la sostanza resta quella di una giornata divisa. Fra richiami sempre uguali da decenni e gli appelli per così dire più “attuali”.
Questi ultimi hanno finito a loro volta per diventare routine. Persino l’angosciante e insostenibile tema delle morti sul lavoro viene sviluppato seguendo schemi, ragionamenti ed espressioni prevedibili.
Un po’ è inevitabile, in parte vorremmo che almeno si uscisse dalla retorica di cui sopra e si mettesse mano alle soluzioni. Nel caso specifico, non possono che essere in termini di formazione e controllo, molto prima che di norme già oggi in Italia fra le più avanzate e attente al mondo.
Quanto ai temi su cui la politica e le relative proposte dovrebbero dividersi siamo abbondantemente al già detto e sentito. Da sinistra e dal Movimento Cinque Stelle è tutto un dipingere il salario minimo o ricette ampiamente fallimentari come il reddito di cittadinanza il sol dell’avvenire. Da destra si respinge in toto questa lettura definendola – non senza ottime ragioni – semplicistica e già bocciata dalla realtà. Ma si rinuncia a quel coraggio liberale di cui avremmo così bisogno nel mercato e nel mondo del lavoro.
Alla fine, sono tutti molto più bravi a organizzare il funerale del lavoro, rivolgendosi in particolare ai giovani, che a individuare soluzioni efficaci. Tocca fare il mestiere di adulti, cominciando a casa con i nostri figli. Parlare del lavoro anche in termini di difficoltà e sacrificio (perché si incontreranno) ma dedicando molto più tempo a far balenare la bellezza, la forza e la fortuna di poter fare nella vita ciò che si desidera.
Di alzarsi al mattino, pur nella consapevolezza che impegni, ostacoli ed esami non mancheranno, carichi di quella voglia e di quell’entusiasmo che colorano le giornate. Fare ciò che si desidera, quello che si è sognato almeno in parte è così bello e appagante che dovremmo passare ore a raccontarlo.
Il lavoro è contratti, garanzie, sicurezze e tutto quello che volete, ma oggi più che mai è realizzazione dell’individuo. Pensare che in pieno III millennio il riferimento di tanti in Italia sia ancora il “tempo indeterminato” è per certi aspetti terribile. Far finta di non sapere che senza un’adeguata formazione e la mentalità giusta si finirà fuori mercato è garanzia di fallimento e arretratezza. La fotografia di un Paese che non riesce a essere attrattivo per i migliori cervelli stranieri, superato a destra e sinistra. Da Germania, Svizzera, Olanda, Spagna e non c’è il Regno Unito solo perché si è tirato fuori con la Brexit.
Però siamo bravissimi a spacciare la panzana che con il salario minimo si raggiungerà il Nirvana dei lavoratori, manco fossimo negli anni Ottanta del XX secolo e allo storico spot della Apple sul “pensare differente”. Quarant’anni dopo, in Italia non abbiamo ancora cominciato.
Di Fulvio Giuliani
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