Garlasco, qualche domanda. Non sulle indagini
Comunque vada a finire la nuova indagine su Garlasco, lo spettacolo offerto è già ai limiti dell’inconcepibile. Non sappiamo a chi, ma bisognerà chiedere scusa a qualcuno quando la polvere si sarà posata

Garlasco, qualche domanda. Non sulle indagini
Comunque vada a finire la nuova indagine su Garlasco, lo spettacolo offerto è già ai limiti dell’inconcepibile. Non sappiamo a chi, ma bisognerà chiedere scusa a qualcuno quando la polvere si sarà posata
Garlasco, qualche domanda. Non sulle indagini
Comunque vada a finire la nuova indagine su Garlasco, lo spettacolo offerto è già ai limiti dell’inconcepibile. Non sappiamo a chi, ma bisognerà chiedere scusa a qualcuno quando la polvere si sarà posata
Altri molto più ferrati, esperti e anche appassionati del sottoscritto scriveranno certamente meglio del “giallo di Garlasco“. Delle clamorose novità delle ultime settimane e del vero e proprio colpo di scena che da 48 ore fa parlare tutto il Paese. Inteso come Italia, perché ormai Garlasco è quasi più un sinonimo che un luogo. Non spenderò una parola su impronte, ipotesi, indagati, presunti colpevoli e presunti innocenti. Non è il mio pane, pur sapendo che è impossibile sottrarsi alle infinite discussioni. Logico e inevitabile.
Qualche considerazione, però, è doverosa. Comunque vada a finire questa storia che non sappiamo neppure come definire – inchiesta bis ci pare poco – la credibilità dell’ordine giudiziario subirà un colpo molto severo. Lo spettacolo offerto è ai limiti dell’inconcepibile, con i vecchi titolari di indagini durate 10 anni che se ne vanno in giro fischiettando o altri che continuano a ripetere che quell’uomo non poteva essere condannato in punta di diritto. Pensiamo, uno per tutti, al giudice dell’assoluzione di secondo grado.
Chi indaga oggi non parla e fa benissimo, ma come al solito tutto arriva ai giornali, alle televisioni e tracima nei social. Il controllo sulla riservatezza degli atti dell’inchiesta traballa. Chiunque si improvvisa esperto forense, sa, sottolinea, riporta, accusa e assolve. Noi giornalisti ci gettiamo a corpo morto sulla notizia “che funziona“. Ne sto scrivendo, quindi faccio parte del circo e non è necessario che me lo si ricordi. Almeno evito di iscrivermi a uno dei due partiti – colpevolisti o innocentisti – che nelle ultime settimane hanno assistito a poderosi travasi di chi per anni aveva costruito ore di trasmissioni o versato bit a manetta sull’ipotesi opposta a quella oggi favorita.
Poi ci sarebbero le vite distrutte, di nuovo date in pasto a una curiosità che oggi non ha alcun limite.
Non sappiamo a chi, ma siamo certi che bisognerà chiedere scusa a qualcuno quando la polvere si sarà posata.
Un ultimo pensiero non può che essere rivolto ai genitori di quella povera ragazza. Abbiamo letto l’indiscrezione secondo cui la procura giudicherebbe incomprensibile la diffidenza della famiglia nei confronti della nuova indagine. L’unica cosa che ci appare incomprensibile – ove fosse vero – è come non si possa comprendere la violenza di un incubo che ritorna. I genitori di Chiara Poggi non sono magistrati, carabinieri, periti, esperti o editorialisti. Sono mamma e papà. Alle prese da 18 anni con un dolore che non abbiamo neanche la capacità, nella nostra lingua, di definire con un termine.
Cosa dobbiamo chieder loro? Di tifare per uno dei partiti di cui sopra? Di abbracciare una tesi, dopo che per quasi vent’anni ne sono state annunciate e triturate un numero di cui abbiamo perso il conto? Chi indaga cerca la giustizia e lo fa in nome del popolo italiano e ha un obbligo morale nei loro confronti. Punto. Non deve aspettarsi ‘comprensione’. Ci vuole rispetto.
Di Fulvio Giuliani
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