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L'Italia entra in un abisso

L’Italia rischia di scivolare in un abisso

Un abisso quello in cui il Paese intero rischia di scivolare, mentre già si odono echi e frastuoni di campagna elettorale. Vincere e non sapere poi letteralmente che cosa farsene della vittoria: una lezione che leader, presunti tali, partiti e coalizioni semplicemente rifiutano di imparare
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L’Italia rischia di scivolare in un abisso

Un abisso quello in cui il Paese intero rischia di scivolare, mentre già si odono echi e frastuoni di campagna elettorale. Vincere e non sapere poi letteralmente che cosa farsene della vittoria: una lezione che leader, presunti tali, partiti e coalizioni semplicemente rifiutano di imparare
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L’Italia rischia di scivolare in un abisso

Un abisso quello in cui il Paese intero rischia di scivolare, mentre già si odono echi e frastuoni di campagna elettorale. Vincere e non sapere poi letteralmente che cosa farsene della vittoria: una lezione che leader, presunti tali, partiti e coalizioni semplicemente rifiutano di imparare
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Un abisso quello in cui il Paese intero rischia di scivolare, mentre già si odono echi e frastuoni di campagna elettorale. Vincere e non sapere poi letteralmente che cosa farsene della vittoria: una lezione che leader, presunti tali, partiti e coalizioni semplicemente rifiutano di imparare
Un abisso. Un abisso separa Mario Draghi da questi figuranti di seconda e terza fila con cui abbiamo a che fare, tronfi protagonisti della più surreale, autolesionista, improponibile e sconclusionata crisi che l’Italia ricordi da tanti anni a questa parte. Un abisso quello in cui con sicumera, superficialità e meschinità molti di questi stessi protagonisti hanno gettato il lavoro di 17 mesi. Risultati a cui evidentemente la mediocrità imperante non è adusa. Un abisso quello in cui il Paese intero rischia di scivolare, mentre già si odono echi e frastuoni di campagna elettorale. Tuoni prima lontani, poi sempre più vicini. Inconfondibili, tipici degli spettacoli pirotecnici delle notti d’estate: tanto rumore, tanta luce, tanto fumo, nessun arrosto. Campagna elettorale in cui, come in una maledizione che si ripete da lustri, avremo l’un contro l’altra armate coalizioni eterogenee, creazioni ad hoc per raccattare quanti più voti possibile. Per provare a vincere o almeno a non perdere troppo. La sera stessa del voto, comunque vada a finire, le ‘alleanze’ rischieranno di finire triturate come tante altre volte in un passato sempre uguale, terrorizzate dal dover governare, dopo aver raccontato tutto e il contrario di tutto agli elettori. Vincere e non sapere poi letteralmente che cosa farsene della vittoria: una lezione che leader, presunti tali, partiti e coalizioni semplicemente rifiutano di imparare. Il centrodestra che ha spinto più di tutti per le urne – ignorando gli interessi e il momento del Paese, nonché i lavori lasciati a metà indicati da Draghi (che a volte sono peggio di quelli neppure iniziati) – sente solo il profumo dei voti. Salvini, Berlusconi e Meloni vedono lo striscione dell’ultimo chilometro, convinti di trionfare. Che poi fra i tre su politica estera, politica energetica, politica economica, politica dell’Unione, politica e basta le differenze siano oggettivamente spesso stridenti deve apparire al più un dettaglio. Per ora. Corrono a fare l’unica cosa che sembra interessare, poi si vedrà. Con i mercati sfiduciati, lo spread alle stelle e i conti difficili da domare per un po’ sarà sufficiente tirar fuori dal cassetto le care, vecchie parole d’ordine: «colpa dell’Europa, colpa dei mercati» (quelli che ci hanno inondato di soldi ‘aggratis’, ma che vuoi che sia). Il solito copione a conto dell’Italia, solo che questa volta la riserva della Repubblica se la sono già giocata e potrebbe toccare a loro rifilare la pillola amarissima al Paese. D’altra parte, Conte – che tutto questo ha innescato – è come se già non fosse mai esistito, un lontano rumore di fondo. Irrilevante. Che dire, poi, dell’anima del centrosinistra, quel Pd che ieri letteralmente non ha toccato palla e ora si trova con un presunto alleato indigeribile e pressoché ininfluente. Fra le tante, l’immagine della giornata resta l’incredula risposta di Mario Draghi allo stralunato attacco di Giorgia Meloni sui ‘pieni poteri’: la fotografia dell’abisso. Di Fulvio Giuliani

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