
È interessante notare come, con singolare ripetitività nella storia, le nazioni salutino la fine di straordinarie carriere politiche ignorando i successori designati. Comunque vada, non premiando i partiti dei leader al tramonto. L’esito delle elezioni tedesche, con i socialdemocratici della SPD in testa dopo una vita e proprio alla fine dei 16 anni di cancellierato di Angela Merkel, ne sono l’ennesima conferma.
Il delfino di quest’ultima, Armin Laschet, non ha fatto altro che portare la Cdu, il partito democristiano, al peggior risultato della sua storia, nonostante il teorico traino della donna che ha cambiato volto alla Germania e dominato politicamente Europa per tre lustri. Gaffe dello stesso Laschet e debolezze del gruppo dirigente del partito a parte, com’è possibile? Può un’eredità politica di questo peso, su cui ci stiamo interrogando da mesi, dissolversi così e senza lasciare una traccia concreta nell’elettorato? È la Storia, da cui siamo partiti, a fornirci la risposta: anche davanti a parabole di successo politico oggettivo e indiscutibile, gli elettori talvolta si comportano in modo apparentemente inspiegabile. Vanno per la loro strada a prescindere.
A guerra finita, con il corpo del mostro nazista ancora caldo, lo stesso Winston Churchill fu clamorosamente battuto e dovette cedere il passo ai laburisti. Senza forzare paragoni, le nazioni sono organismi vivi e complessi, dalle reazioni perlopiù psicologiche.
Troppo grande l’eredità della Merkel per chiunque, è evidente. La Germania, così, ha guardato istintivamente altrove, in particolare ai socialdemocratici di Olaf Scholz, che vincono dopo tantissimo – come detto – ma non trionfano.
Il grazie alla cancelliera non è in discussione e appartiene alla Storia, mentre per la nostalgia ci sarà eventualmente tempo. Tutt’altra faccenda la cronaca di un governo-incognita. A ben vedere, peraltro, non proprio una novità per il Paese delle ‘Große Koalition’.
di Fulvio Giuliani
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