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Propagande senza pudori

Domani la corsa al voto. Ma se a volte i vari candidati e le relative proposte sono apparsi poco aderenti alle reali necessità del Paese, è bene sapere che anche all’estero vi sono stati casi quantomeno particolari
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Propagande senza pudori

Domani la corsa al voto. Ma se a volte i vari candidati e le relative proposte sono apparsi poco aderenti alle reali necessità del Paese, è bene sapere che anche all’estero vi sono stati casi quantomeno particolari
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Domani la corsa al voto. Ma se a volte i vari candidati e le relative proposte sono apparsi poco aderenti alle reali necessità del Paese, è bene sapere che anche all’estero vi sono stati casi quantomeno particolari
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Domani la corsa al voto. Ma se a volte i vari candidati e le relative proposte sono apparsi poco aderenti alle reali necessità del Paese, è bene sapere che anche all’estero vi sono stati casi quantomeno particolari
La corsa al voto di domani è stata incentrata su promesse e programmi che vorrebbero rassicurarci su un futuro incerto, con un occhio al malcontento di alcune parti della popolazione. Ma se a volte i vari candidati e le relative proposte sono apparsi poco aderenti alle reali necessità del Paese, è bene sapere che anche all’estero vi sono stati casi quantomeno particolari. A fare la parte del leone in questa speciale graduatoria è l’Ungheria, dove nel 2018 ha partecipato alle elezioni il “Partito del cane a due code”, un movimento che basò la propria campagna su poche e semplici tematiche quali “Vita eterna! Birra gratis! Meno tasse”, affiancate da un impegno altrettanto forte in caso di vittoria: «Al 93% vi garantiamo che non ruberemo!». Perché si sa, del doman non v’è certezza e stupisce che soltanto il 2% degli elettori abbia apprezzato siffatta trasparenza d’intenti. Nel corso di quella stessa consultazione si sono registrate anche forti pressioni a favore della candidatura dell’attivista per i diritti civili Erzsi. Nulla di strano, se non fosse che Erzsi è una gatta divenuta famosa grazie ai social network e con un seguito ormai di oltre 70mila persone nel Paese. In Islanda una delle tematiche elettorali più calde è quella della tutela dei paesaggi. Fine certamente nobile, ma con una motivazione singolare. Si teme infatti che modifiche all’ecosistema possano disturbare la quiete di elfi e folletti, la cui reale esistenza è data per certa da gran parte della popolazione. Ragion per cui il progetto della costruzione di una superstrada di collegamento tra la penisola di Álftanes e Garðabær è stato bloccato per tutelare un luogo dove, secondo le leggende, vive una comunità di elfi. In altri Paesi un tema piuttosto dibattuto è invece quello dei brogli elettorali. Durante le elezioni del 2018 in Afghanistan il numero dei votanti in alcune province è risultato superiore al numero effettivo dei residenti. Per ovviare al rischio di frodi elettorali si è quindi ricorso a uno stratagemma: dopo aver votato, ogni elettore doveva immergere il proprio indice in un calamaio d’inchiostro: qualora avesse provato a votare nuovamente, la scheda sarebbe risultata macchiata e quindi annullata. In tema di brogli, difficilmente potrà comunque essere eguagliato il primato di Charles King, eletto presidente della Liberia nel 1927 con ben 234mila voti. Unico neo: nell’intero Paese gli aventi diritto al voto erano appena 15mila. L’alterazione dell’esito elettorale è un pericolo che in molti Paesi è stato scongiurato grazie al voto elettronico. I risultati sono stati più o meno efficaci. Se infatti in Estonia l’e-vote (in vigore dal 2007) è ormai usato dal 30% della popolazione e ha garantito una maggiore trasparenza, negli Usa la società Dominion, che ha gestito il sistema di e-voting durante le presidenziali 2020, ha chiesto risarcimenti per quasi 4 miliardi di dollari a tutte le figure di spicco che hanno sostenuto ipotesi di brogli ai danni di Trump. La tecnologia è in ogni caso divenuta parte integrante del confronto pre-elettorale, in alcuni casi rivelandosi determinante. In Colombia il candidato Rodolfo Hernandez è per esempio arrivato al ballottaggio per le presidenziali disertando i dibattiti in tv ma promuovendosi esclusivamente su Facebook e TikTok, riuscendo così a spostare centinaia di migliaia di voti in suo favore. Nota particolare: Hernandez ha 77 anni, ben lontano quindi dall’età media dei fruitori dei social network, dei quali però ha saputo intercettare gusti e linguaggi. Sarà forse sulla base di questo crossover generazionale che da noi Silvio Berlusconi ha usato YouTube per illustrare il programma di Forza Italia ed è approdato su TikTok per dialogare con l’elettorato più giovane. Appaiono comunque lontani i tempi in cui era la tv a farla da padrona in campagna elettorale. Ora al limite ci regala qualche governante, come nel caso del presidente ucraino Zelensky o di Jón Kristinsson Gnarr, un ex attore comico eletto sindaco di Reykjavík nel 2010, oggi parlamentare e, secondo i ben informati, probabile candidato alla presidenza del Paese. Perché se è vero che la politica è un’arte, forse è altrettanto logico che a prendere la scena siano proprio gli artisti.   Di Stefano Faina e Silvio Napolitano

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