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Digitale, Ambrosetti: “Settore richiede nuove tecnologie e materiali sostenibili”

15 Febbraio 2024

Milano, 15 feb. (Labitalia) – Presentata oggi a Milano, a porte chiuse, la ricerca Ambrosetti sul digitale come abilitatore di un profitto sostenibile per le aziende. Il Rapporto strategico intitolato ‘Il digitale per un profitto sostenibile: la Twin Transition delle imprese e le soluzioni digitali a supporto di sostenibilità e circolarità’ è stato realizzato da The European House-Ambrosetti in partnership con Avvale, la digital business transformation company nata a Milano nel 2004 dall’intuizione di Domenico Restuccia, che da vent’anni cresce a doppia cifra ed evolve per supportare al meglio la digitalizzazione di pmi e Fortune500 di tutto il mondo.

Come si declina la Twin Transition per le aziende, ovvero lo sviluppo sinergico di soluzioni che favoriscano sia la transizione verde che quella digitale? Quali le tecnologie, i processi e le strategie che le aziende devono adottare per ridurre il proprio impatto ambientale senza compromettere la propria performance economica?

Sono alcune delle domande poste dallo studio il cui advisor scientifico è il direttore scientifico dell’Istituto italiano di tecnologia Giorgio Metta, per il quale “il mondo della ricerca è alla costante ricerca di nuove tecnologie e materiali sostenibili, ma senza nuovi modelli di efficienza e circolarità il progresso scientifico sarà vano: la transizione verde non è una sfida tecnologica, ma una sfida di sistema. In questo contesto, le aziende possono fare leva sulle nuove tecnologie digitali che, oltre a rendere i processi sempre più efficienti, possono creare nuovi modi di consumare e di interagire tra consumatori e aziende, estendendo intensità di utilizzo e riciclo di prodotti e materiali. La sfida è grande, ma grazie al digitale disponiamo oggi degli strumenti con cui affrontare la transizione verso un nuovo modello di profitto sostenibile”.

“In Avvale crediamo che l’adozione di modelli circolari e l’innovazione digitale rappresentino i mezzi più potenti che le aziende hanno a disposizione per coniugare profitto e sostenibilità” commenta Domenico Restuccia, fondatore e ceo di Avvale. “Integrare i principi della circolarità nei processi operativi e nel design dei propri prodotti non solo ottimizza l’efficienza operativa, ma permette anche di disaccoppiare la crescita dei ricavi dal consumo di risorse. Questo approccio pone le imprese in una posizione vantaggiosa per ridurre l’impatto ambientale e creare valore economico sostenibile nel lungo termine. L’innovazione tecnologica rende oggi questo obiettivo raggiungibile. Il digitale ci fornisce, infatti, strumenti adeguati per il superamento di un modello economico lineare in favore di ecosistemi circolari, in cui prodotti e materiali circolano al massimo valore il più a lungo possibile su scala industriale. Che si tratti di passaporto digitale e tracciatura di prodotto o di logistica di rientro e attivazione di nuovi mercati secondari, tutto questo richiede l’applicazione delle più moderne tecnologie digitali e questo è il focus di Avvale e l’ambito in cui vogliamo contribuire.”

Per Restuccia infatti “Quello che emerge da tutte le discussioni che nel corso della giornata di oggi abbiamo fatto è che sicuramente nell’immaginarci una crescita di lungo periodo che sia sostenibile sia da un punto di vista economico che da un punto vista ambientale e sociale è sostanzialmente necessario far sì che oltre a materiali innovativi, oltre a energie rinnovabili, è assolutamente necessario che i comportamenti dei singoli e le pratiche delle imprese mutino. In altre parole noi riteniamo che principi circolari e innovazione digitale siano i mezzi più potenti che le aziende hanno a disposizione per raggiungere il loro fine. Il fine di ogni azienda deve essere quello di essere sì profittevole, ma anche sostenibile. Ecco, quello che abbiamo studiato oggi è concretamente come l’innovazione tecnologica può aiutare processi esistenti a essere meno invasivi per l’ambiente, riducendo il consumo di risorse e abbattendo il footprint di CO2, da un lato”.

“Ma – avverte – c’è tutto un mondo ancora da esplorare, e necessariamente andrà esplorato, di come di fatto il digitale può abilitare modelli di business diversi in cui il ciclo di vita del prodotto viene esteso e quindi i ricavi vengono in qualche misura disaccoppiati dalla produzione, ovvero modelli di sviluppo nei quali i ricavi di un’azienda, la crescita di un’azienda, sia funzione non solo della quantità di prodotto venduto, ma anche del tempo nel quale i suoi prodotti, i suoi materiali rimangono sul mercato e dell’intensità con cui vengono utilizzati. Ecco, per fare questo è necessario automatizzare su scala industriale tutta una serie di processi come la tracciatura, il passaporto digitale, la logistica di rientro, tutta una serie di processi che possono diventare efficienti ed efficaci grazie al digitale e portarci a una frontiera scientifica e non ideologica in cui sostenibilità e profitto non sono nemici l’uno dell’altro ma convivono per un futuro migliore”.

Tre i messaggi chiave della ricerca: un’azienda che ha l’ambizione di essere davvero sostenibile è un’azienda che strumenti di misurazione altamente digitalizzati; il digitale rappresenta il più potente acceleratore di performance economica e esg; la transizione verso il net zero potrà avvenire solo grazie a nuovi modelli di business e processi circolari

Dalla ricerca emerge che in termini di digitalizzazione delle aziende, l’Italia si trova in una posizione di svantaggio, con solo il 27,8% di utilizzo delle tecnologie più avanzate (high e very high), valore che si discosta di ben 4,6 p.p. rispetto la media europea e di oltre 10 p.p. rispetto alle aziende tedesche ed olandesi. Al tempo stesso con una crescita del 75% dal 2017 al 2022, l’Italia è il paese che è cresciuto di più e in maniera più rapida tra tutti i paesi dell’Unione europea nella digitalizzazione.

In Italia le aziende che hanno scelto di investire in migliori infrastrutture digitali mostrano un livello di produttività maggiore del 64% rispetto le aziende non digitalizzate, passando da 133mila euro per dipendente a circa 220mila euro (in Germania, la differenza in termini di produttività è minore rispetto l’Italia, ma comunque del 35%) La percentuale sul Pil di investimenti privati in circolarità nell’Unione europea è solamente di 0,8% con 121 miliardi di euro nel 2021. In valori assoluti, l’Italia si posiziona con 12,4 miliardi di Euro, seconda solo a Germania (31,5 miliardi di Euro) e Francia (20,4 miliardi di euro). In termini relativi rispetto al Pil, i Paesi dell’Ue con la più alta percentuale di investimenti sono Belgio e Austria con l’1,4% con l’Italia si posiziona solamente all’11° posto con lo 0,7%. Analizzando, invece, l’andamento degli investimenti sull’economia circolare tra 2011 e 2021, si osserva come l’Italia abbia quasi raddoppiato i propri investimenti privati nell’economia circolare, ben sopra la media europea che ha registrato solamente una crescita del 16,5%.

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