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Imprese: Diversity brand index, più fiducia e ricavi per le aziende che si distinguono

28 Febbraio 2023

Roma, 28 feb. (Labitalia) – Il livello di attenzione e sensibilità sulle tematiche della diversità e dell’inclusione si conferma molto alto in un mercato sempre più consapevole, selettivo e attento a valutare le iniziative dei brand, così come si riafferma per le aziende ritenute più inclusive un delta del +21% nella crescita dei ricavi rispetto alle altre, grazie a un net promoter score (passaparola) positivo del +72,8%. Il settore del fashion e della moda è sempre più percepito come inclusivo, subito dopo il retail, mentre consumatrici e consumatori ostili alle tematiche Lgbt+ continuano a diminuire e aumentano coinvolgimento, familiarità e contatto verso le tematiche generazionali e Lgbt+. Irrompono le persone indifferenti – disinteressate alle tematiche della diversità, nonché poco vicine ai temi della sostenibilità sia sociale che ambientale, prevalentemente di fascia d’età media (35-54 anni) – e le inconsapevoli, con forte collettivismo e scarso individualismo che non hanno nessuna forma di familiarità, coinvolgimento e contatto con le diverse forme di diversità nonostante l’interesse verso le tematiche sostenibili.

Questi gli highlights che emergono dal Diversity brand index 2023, unica ricerca italiana volta a misurare la capacità delle marche di sviluppare con efficacia una cultura orientata alla diversity, equity and inclusion (de&i), ideato e curato da Diversity e Focus Mgmt e che sarà presentato giovedì 2 marzo 2023 durante la sesta edizione del Diversity brand summit, in streaming dalle ore 16.30 su www.diversitybrandsummit.it. Quest’anno l’evento, coerentemente con un mercato finale sempre più esigente, segnalerà solo i 10 progetti più meritevoli, individuati dal comitato scientifico e dal security check committee, al posto della top 20 degli scorsi anni. Barbie, Lavazza Group, Intesa Sanpaolo, Lines, Procter & Gamble, Netflix, Rai, Real Time, Spotify e The Walt Disney Company: questi i brand che hanno firmato i migliori progetti e le migliori iniziative del 2022 che compongono la top 10 initiatives del Diversity brand index per la loro capacità di lavorare concretamente sulla de&i, impattando anche sulla percezione di consumatrici e consumatori.

Nel corso dell’evento del 2 marzo saranno infine premiati il vincitore assoluto (il brand che si è distinto per il miglior mix tra impegno intersezionale sulla De&i rivolta al mercato finale, valutato dai comitati, e percezioni di consumatrici e consumatori, rilevate attraverso la survey) e il vincitore digitale (il brand che ha implementato il miglior progetto digitale, riconosciuto dal mercato e dai comitati). Le due marche vincitrici potrebbero emergere complessivamente anche al di fuori della top 10 delle singole iniziative. Nel corso del Diversity brand summit, condotto da Corinna De Cesare, patrocinato dal Comune di Milano e con la partnership di Extra, interverranno esperte ed esperti sul tema, fra cui la co-founder di Indigenous fashion arts Kerry Swanson. Il claim dell’evento scelto quest’anno è ‘Right Now – E’ tempo di agire’, un’esortazione a concretizzare sempre più i buoni propositi e la necessità di farlo il prima possibile, perché la sostenibilità sociale, specie in un momento storico come questo, è una sfida prioritaria.

“Quest’anno – dichiara Francesca Vecchioni, presidente di Fondazione Diversity – abbiamo voluto elevare l’asticella passando dalla top 20 a una top 10 delle migliori iniziative dei brand in tema De&i. Una direzione emersa chiaramente dalla ricerca Diversity brand index: la consapevolezza verso le tematiche della DE&I è infatti in continuo aumento. Consumatrici e consumatori, anche in un mercato così affollato, distinguono le azioni e la comunicazione più coerenti e autentiche in tema di inclusione, da quelle più strumentali o imputate di diversity washing. Non basta più stampare una bandierina rainbow sul proprio packaging o fare un post rosa per l’8 marzo per essere inclusivi: su questi temi le persone a cui si vuole parlare sono spesso più competenti delle stesse aziende che li comunicano. Oggi gli standard si sono alzati di molto, ai brand è richiesta coerenza, autenticità e competenza. Non si comunica più la De&i, si comunica Con la De&i, ed è uno strumento eccezionale solo se è autentico, l’unico modo per arrivare davvero”.

Anche quest’anno si conferma come le pratiche inclusive sui temi di genere, etnia, LGBT+, età, status socio-economico, disabilità, religione e credo e la new entry aspetto fisico (le 8 aree della diversity su cui si concentra la ricerca) impattino positivamente sulla reputazione dell’azienda e sulla fiducia delle consumatrici e dei consumatori, riversandosi in un indice di passaparola positivo e risultati economici migliori. 7 persone su 10 infatti parlano bene di un’azienda considerata inclusiva, come rileva l’Nps (Net promoter score, indicatore del passaparola), ora a +72,8%, anche se in discesa (-13,7%) rispetto all’anno precedente.

Per le aziende percepite come non inclusive, invece, l’Nps rimane molto basso, sebbene per il secondo anno consecutivo in leggero miglioramento (-71,2% vs -77,2% del 2022): l’accorciamento di questa forbice è indicativo di quanto sia più difficile oggi suscitare un reale impatto su queste tematiche, a causa di un mercato sempre più consapevole, selettivo e attento a valutare le iniziative dei brand, capace quindi di individuare maggiormente mere operazioni di ‘diversity washing’. Per lo stesso motivo, cala leggermente dal 23% al 21% il differenziale della crescita dei ricavi, sempre però a favore di quelle percepite come maggiormente inclusive. Il valore del 21% risulta più elevato per le aziende che hanno lavorato sulla user experience (prodotti e servizi diversity-oriented, rappresentazione inclusiva della clientela, shopping experience inclusive). A conferma che oggi, per emergere tra la concorrenza sui temi De&i, occorre farlo con iniziative davvero sostanziali, il campione della survey di quest’anno (1.037 rispondenti) ha citato un numero di brand ‘maggiormente inclusivi’ leggermente inferiore rispetto al 2022 (356, contro i 366 dell’anno precedente).

Sulla composizione settoriale dei primi 50 brand percepiti dal mercato come più inclusivi si registra la costante progressione delle marche dell’apparel & luxury goods (+2 p.p. rispetto allo scorso anno) che balzano in 3 anni dal 6 al 22%, segno dell’efficacia delle attività più inclusive degli ultimi anni; calano del 4% invece le aziende legate al retail, che con il 24% complessivo restano comunque il segmento più ampio; scendono per il secondo anno consecutivo le aziende dell’information technology (-2%, 6% complessivo), così come retrocedono di 2% quelle dei consumer services (4% totale); +2 p.p. invece per i settori consumer electronics (assestandosi all’8%) e utility (al 4%). Tutti stabili gli altri: media (al 10%), healthcare & wellbeing (all’8%), fmcg (beni di largo consumo, all’8%), telco (al 2%), toys (2%). Novità di quest’anno, l’ingresso della categoria Automotive (2%), settore finora totalmente assente nella rilevazione, pur avendo da sempre un’alta esposizione comunicativa.

Cambia ancora il profilo delle consumatrici e dei consumatori: il 69,3% di loro è più propenso nei confronti dei brand percepiti come più inclusivi, apparentemente in discesa rispetto all’anno precedente (che era il 77,5%), ma con forme di negatività meno accentuate e meno schierate. Alla costante diminuzione e attenuazione nelle posizioni più estreme delle persone arrabbiate 2.0, infatti, l’unica categoria realmente negativa nei confronti della De&i, arrivata ora al 18,7% (-3,8%), si affianca l’ingresso di due nuovi cluster, indifferenti e inconsapevoli, che erodono punti agli altri: impegnati, sempre il cluster più numeroso della rilevazione con il 27,7%, che scendono di 1,7%; consapevoli, che cedono 6,4% e toccano l’8,8%; coinvolti, che calano al 13,7% (-1,9%); Tribali, persone tendenti all’individualismo e attente ai temi della De&i, soprattutto LGBT+ se coinvolgono il proprio nucleo familiare, che toccano quota 10,6% (-2%).

Le/gli indifferenti, al 12,1% del rilevamento, sono persone estremamente individualiste, disinteressate all’argomento DE&I e poco vicine ai temi della sostenibilità sociale e ambientale, per un cluster compreso per il 62% nella fascia d’età fra i 35 e i 54 anni, composto in maggioranza da uomini (54%) e con una provenienza per il 43% dal Nord Italia, al 39% dal Sud e Isole e il restante 18% dal Centro. Le/gli Inconsapevoli, all’8,5% (segmento più piccolo della rilevazione), non hanno ancora nessuna forma di familiarità, coinvolgimento e contatto con la diversità, sebbene abbiano di fondo una propensione verso la collettività e siano persone interessate alle tematiche di sostenibilità ambientale; questo gruppo è composto per il 57% da over 45 e di provenienza per il 43% dal Nord Italia, per il 39% dal Sud e Isole e per il 23% dal Centro. Indicativo l’aspetto anagrafico dei cluster: se infatti la fascia media è prevalente fra le/gli Indifferenti, gli over 55 risultano più favorevoli ai temi De&i (28,6% tra i coinvolti, 31% tra le/i tribali), mentre gli under 25 sono la fascia più polarizzata (19% arrabbiati 2.0, 16,7% consapevoli, 12,3% impegnati, 11,6% coinvolti).

Dalla ricerca emerge infine una crescita dell’interessamento e dell’apertura da parte delle Italiane e degli italiani verso le tematiche legate alla diversity, nella familiarità, nel contatto e soprattutto nel coinvolgimento verso tutte le forme di diversità (con un piccolo peggioramento solo della familiarità verso genere, etnia, disabilità, religione e credo e status socio-economico); a registrare trasversalmente una crescita più marcata sono l’età e Lgbt+, in quest’ultimo caso probabilmente a causa del forte dibattito sul ddl Zan nel 2022. La maggior consapevolezza e attenzione verso la De&i emerge anche sul fronte delle aziende: si conferma il trend che in 5 anni le ha viste candidare sempre più iniziative esterne, salite dal 35% del 2017 al 90% del 2022, rispetto a quelle interne, che passano conseguentemente dal 65% del 2017 al 10% del 2022, segnale che le aziende sono sempre più consapevoli dell’importanza di questi temi da parte del mondo che le circonda. Quest’anno crescono moltissimo le attività in local engagement (supporto ad associazioni di volontariato, pr locali, marketing territoriale), mentre diminuisce drasticamente l’impegno sulla user experience, che sposta molto le percezioni del mercato finale, dato che si allinea con la diminuzione dei brand citati e la ridotta intensità dell’Nps.

Altro indice di questa maggior consapevolezza, l’aumento di 16% rispetto all’edizione precedente (e arrivano al 48%) delle persone che affermano di essere a conoscenza di programmi di Supplier iversity all’interno della propria azienda (programmi che incoraggiano l’approvvigionamento da aziende fornitrici presso cui è garantita l’inclusione di tutte le forme di diversità); tra queste, si registra anche una maggior richiesta di certificazioni (34%, +17% rispetto all’anno precedente), mentre diminuiscono vistosamente le aziende che non hanno né programmi di supplier diversity e che nemmeno richiedono certificazioni (31%, -13%). “Continua il trend – spiega Emanuele Acconciamessa, chief operating officer di focus Mgmt – degli anni precedenti per il quale il numero di brand citati come inclusivi diminuisce, il pubblico si dimostra più severo. Le marche per essere memorabili sul tema D&i devono lavorare in maniera incisiva e differenziante. Per essere riconosciuti come inclusivi e per rimanere nella mente di consumatrici e consumatori i brand devono dimostrare coerenza nelle attività, sincerità ed eccezionalità”.

“Quando un brand – dice – è riconosciuto inclusivo, più di 7 consumatrici e consumatori su 10 ne parlano bene, diventando ambassador e spendendosi in prima persona solo per marche che hanno lavorato seriamente e profondamente sull’inclusione. In generale è il coraggio dei brand ad essere premiato. La rappresentazione delle forme della diversità è fondamentale, quest’anno abbiamo integrato la ricerca con l’ottava forma di diversità, riconosciuta in letteratura: l’aspetto fisico che si afferma con una base di partenza più matura, rispetto ad altre forme di diversità, a livello di familiarità, contatto e coinvolgimento”. “Rispetto allo scorso anno è aumentato sia il numero di iniziative candidate dalle aziende che le tipologie” racconta Sandro Castaldo, presidente del Comitato scientifico, docente presso Università Commerciale Luigi Bocconi e founding partner di focus Mgmt.

“Abbiamo ripensato le categorie – fa notare – affinché potessero essere più specifiche, suddividendole in 5 categorie: supplier diversity, non presente nelle edizioni precedenti e ancora poco presente nel mix di iniziative candidate; local engagement che ha mostrato una crescita del 10%. rispetto al 2021; marketing & communication, +4% rispetto al 2021; user experience che è decresciuta del 6% nel 2022; education, -3% rispetto al 2021. Continua il trend decrescente delle iniziative interne De&i candidate; inizialmente, nelle prime edizioni del Diversity brand summit, la De&i veniva associata in maniera rilevante alle iniziative interne hr, ora il management dei brand emersi dalla survey ha raggiunto un livello di maturità più marcato, con una maggiore capacità di distinguere iniziative interne ed esterne. Oggi i brand hanno chiari i target delle iniziative di De&i, comprendendo il potenziale e il target di ognuna di queste. Il dato sulla riduzione delle iniziative di user experience risulta assolutamente coerente con la diminuzione dei brand citati nella survey. Lavorare in maniera differenziante sulla user experience diversity oriented è uno dei driver più potenti per generare soddisfazione, fiducia, loyalty e passaparola positivo. Il minore impegno dei brand su questo fronte si riflette in numero di brand ricordati più ridotto”.

La top 10 dei progetti è il risultato finale del meticoloso percorso di ricerca Diversity Brand Index 2023, condotto da gennaio a dicembre 2022, che, partendo da una mappatura continua di tutte le iniziative/attività realizzate dai brand (desk analysis), ha coinvolto attraverso una survey web un campione rappresentativo della popolazione italiana composto da 1.037 rispondenti che hanno espresso le proprie percezioni in relazione ai brand percepiti come più/meno inclusivi.

Sistematizzando le preferenze e le percezioni espresse da consumatrici e consumatori è stato possibile identificare le marche percepite come più inclusive alle quali è stato richiesto di candidare le iniziative/attività realizzate nel 2022 sulla De&i in una prospettiva B2C. Tali iniziative sono state valutate da un comitato scientifico, composto da professoresse e professori universitari esperti sulle tematiche del branding, del trust e del marketing, e da un security check committee, formato da esperti delle specifiche forme di diversità. I brand emersi dal Diversity brand index che sono entrati nella top 10 con i loro progetti, nonché le marche vincitrici a livello overall e digital, possono richiedere e utilizzare nelle proprie attività di comunicazione il marchio di certificazione rilasciato da diversity e focus Mgmt che ne attesta l’inserimento tra le migliori aziende in termini di impegno sulla De&i e capacità di comunicarlo al mercato finale.

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