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Lavoro, il giuslavorista: “Per settimana corta non serve legge, cambiare valutazione rendimento”

13 Marzo 2023

Roma, 13 mar. (Labitalia) – Com’è possibile lavorare meno a parità di salario? Questa è la domanda delle domande che è alla base del dibattito intorno all’introduzione della cosiddetta settimana corta – ossia passare da 5 a 4 giorni lavorativi a settimana – mantenendo lo stesso livello retributivo. Sembra un corto circuito ma in realtà nel nostro ordinamento una possibilità in questo senso esiste.

“L’introduzione della settimana corta a parità di salario in Italia sarà possibile solo a patto di fissare e rispettare il cosiddetto rendimento atteso dalle aziende rispetto ai propri dipendenti. Si tratta di cambiare paradigma del contratto di lavoro subordinato sino ad oggi praticato in cui le aziende, con il contratto acquistano e pagano la prestazione del dipendente per una certa quantità di tempo ma non il risultato di quell’attività”, spiega Luca Failla, uno dei più noti giuslavoristi italiani e professore a contratto alla Lum – De Gennaro di Bari.

“Infatti, nell’attuale sistema contrattuale il rendimento del lavoratore non fa parte del contratto né della prestazione resa. Stando così le cose nessuna azienda accetterà il rischio di retribuire un lavoratore allo stesso modo pur lavorando meno. Ciò è possibile solo se il rendimento atteso dall’azienda sarà almeno superiore a quello precedente, con buona pace dei sindacati e degli sforzi di direttori del personale di buona volontà”, aggiunge Failla.

Non serve una nuova legge. “Per facilitare il passaggio alla settimana corta, così come declinato, non serve una nuova norma. L’attuale quadro legislativo del lavoro -prosegue Failla- permette di poter gestire senza difficoltà la materia. Ciò che serve, al contrario, è sperimentare in concreto nuovi modelli di organizzazione del lavoro. Come per lo smart working basta una regolamentazione individuale con i lavoratori interessati in cui fissare obiettivi di rendimento attesi e misurabili delle prestazioni lavorative (di volta in volta variabili in funzioni delle attività), il cui mancato raggiungimento – su base giornaliera, settimanale, mensile o multiperiodale – farà decadere per il lavoratore interessato il beneficio della settimana corta”.

“In tal modo -chiosa il giuslavorista- il rendimento atteso entrerà a far parte del contratto di lavoro sino ad oggi basato unicamente sullo scambio retribuzione – orario di lavoro e starà alle aziende sperimentare nuovi modelli organizzativi virtuosi”, conclude.

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