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Lavoro, Inapp: “Inattività punto chiave mancato accesso donne a mercato”

2 Ottobre 2025

Roma, 2 ott. (Adnkronos/Labitalia) – L’inattività è il punto chiave del mancato accesso delle donne nel mercato del lavoro. E’ quanto emerso dalla tavola rotonda Inapp ‘Riflessioni e prospettive a livello italiano’, organizzata in occasione della presentazione dell’undicesimo round dell’European social survey.

“La recente evoluzione del mercato del lavoro – ha detto Valeria De Bonis, membro dell’ufficio parlamentare di Bilancio – proviene dai cambiamenti della partecipazione, soprattutto delle donne, e della demografia. Andiamo, infatti, verso l’invecchiamento, una riduzione della popolazione e della forza lavoro. C’è stato un aumento della popolazione occupata però per gli uomini l’aumento ha interessato tutte le fasce over 50, mentre per le donne tra i 35 e i 49 anni. La caratteristica che ha colpito nella fase post pandemica è il contributo arrivato dagli inattivi, soprattutto donne, oltre che dai giovani. Molta occupazione si è rivolta verso il terziario, caratterizzato da bassa redditività e remunerazione”. Un dato, questo, da collegare al fatto che “le donne rappresentano il 53% dei nuovi occupati. Per questo è importante il rapporto Inapp affinché si riescano ad intercettare le esigenze delle donne”, ha sservato.

“A livello europeo – ha ricordato Sara Riso, senior research manager Eurofound – sono stati fatti diversi progressi per dimezzare il divario dei tassi di occupazione di genere. In Italia le donne sono mediamente più istruite degli uomini, ma i salari continuano a rimanere inferiori. Dalle nostre indagini si vede che alcuni settori rimangono a prevalenza femminile, come sanità e istruzione, con carichi di lavoro ed emotivo più elevati, mentre gli uomini ricoprono ruoli manageriali con caratteristiche opposte. I divari di genere non si limitano ai salari, ma anche alla gestione del tempo a livello familiare e questo riduce il tempo per la formazione e per la propria carriera. Un quadro, quindi, complesso che continua a penalizzare le donne, per questo occorre potenziare i servizi di cura, garantendo la flessibilità e il diritto alla disconnessione”.

Per Mattia Pirulli, segretario confederale Cisl, “da un po’ di tempo evidenziamo che la partecipazione delle donne nel mercato del lavoro è stato vista in maniera residuale, mentre oggi sta diventando anche un tema economico, rilanciandone il ruolo”. “Dobbiamo attivare il mondo delle donne nell’attività nel mercato del lavoro – ha detto – contribuendo così all’aumento del Pil. Analizzando le materie Stem, particolarmente richieste, si vede che l’80% sono uomini e il restante 20% sono donne. Una prima leva deve essere quindi l’orientamento evitando un’autosegregazione da alcuni percorsi. Analizzando la fascia di età 25-34 anni, il 41% delle donne lavora in part time involontario in senso ampio e proprio qui bisogna capire come ripartire il carico familiare donne-uomini. Dobbiamo lavorare sull’equa partecipazione contrattuale, sui servizi come ad esempio sulla possibilità di accesso agli asili nido. Bisogna incentivare anche i sistemi di welfare per la long term care, perché l’invecchiamento della popolazione porterà delle nuove esigenze”.

“Siamo tutti d’accordo – ha spiegato Eleonora Faina, vicedirettore generale Unione industriali di Torino – che ci siano delle diversità nel mercato del lavoro e problemi per i carichi provenienti dalla cura, però bisogna capire cosa fare. Ci sono delle iniziative di sostegno alle donne portate avanti dalle aziende, anche se variano a seconda della dimensione industriale delle imprese. Cosa possiamo fare in termini di politica pubblica? La legge non risolve sempre i problemi come una bacchetta magica e senza costi per le imprese, bisogna insistere sulla formazione scientifica delle ragazze per coinvolgerle poi nella transizione digitale”.

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