Materie prime: soffre il lattiero-caseario del Veneto, Latteria Soligo ‘a rischio made in italy’
Roma, 15 feb. (Adnkronos/Labitalia) – L’inattesa esplosione dei prezzi dei combustibili e delle materie prime minacciano seriamente la sopravvivenza del settore lattiero caseario italiano. Un grido di aiuto che si leva dall’intera filiera agroalimentare, colpita da un’emergenza che sta facendo sentire tutta la sua gravità anche in Veneto, in cui la situazione è particolarmente difficile per le produzioni di qualità, ovvero quei prodotti tipici che da secoli arrivano sulle tavole dei consumatori. Emblematico il caso di Latteria Soligo che, da circa 140 anni, opera grazie al lavoro dei soci produttori di latte impegnati affinché ogni giorno le famiglie possano consumare alimenti buoni, sani e genuini: latte fresco, Casatella Trevigiana Dop, Mozzarella Tradizionale Stg, burro QV, Montasio, Asiago e Grana Padano sono solo alcuni esempi.
Una sicurezza alimentare che oggi rischia di venire meno a causa dell’impennata generale dei prezzi, come ad esempio quello delle materie prime per l’alimentazione animale (mais e soia) aumentate del 50%, il prezzo del gas naturale salito addirittura del 500% (un caseificio della latteria sociale da un costo di 25mila euro al mese è arrivato a 125mila) e l’energia elettrica più che raddoppiata (la bolletta elettrica di Latteria Soligo è passata dai 36mila euro di gennaio 2021 agli 80mila di gennaio 2022).
“Una situazione oramai insostenibile ma che, come latteria sociale, stiamo cercando di fronteggiare – sottolinea Lorenzo Brugnera, presidente di Latteria Soligo – ad esempio attuando rapidi interventi di efficientamento dei processi di produzione, con una riduzione del consumo di energia per ogni reparto e per ogni lavorazione. Ma oggi i costi stanno, purtroppo, superando nettamente i ricavi e molti nostri soci si vedono costretti a chiudere le proprie attività. Per essere ancora più chiari: prendiamo un’azienda con una stalla da 120 vacche, ognuna delle quali produce mediamente 32 litri di latte al giorno; il costo dell’energia per la mungitura che nel 2021 era di 0,017 euro al litro, oggi è di 0,047 al litro, con una differenza di +3 centesimi per ogni litro di latte. La fattura mensile di energia è invece passata da 2.200 euro a oltre 5.500 al mese”.
“E non finisce qui: all’aumento del costo energetico per la mungitura (+ 0,03/litro) si aggiunge il costo alimentare per ogni bovina, è aumentato di almeno 2 euro al giorno per ciascuna vacca; quindi, dividendo la cifra per la produzione media di 32 litri per bovina, l’alimentazione animale costa al produttore 6 centesimi per litro in più. Sommando l’aumento del costo alimentare a quello energetico si ha un aumento pari a 9,25 centesimi per litro. I conti sono presto fatti: oggi produrre 1 litro di latte in stalla costa quasi 10 centesimi in più rispetto ad un anno fa. E la stalla che abbiamo preso come esempio è il prototipo di un’azienda familiare come quelle di tanti nostri soci, il modello che si è rivelato essere l’ideale per conservare la biodiversità, salvaguardare la tutela dell’ambiente e attuare un vero benessere animale”, aggiunge.
Accanto ai maggiori costi che si registrano in stalla, vi sono poi i maggiori costi dell’energia a carico dei caseifici e delle centrali del latte: su questo fronte Latteria Soligo stima che nel 2022 l’incremento della spesa energetica sarà di circa 4 centesimi per litro di latte lavorato rispetto all’anno 2021 appena concluso, al quale si aggiungerà l’incremento della spesa per il confezionamento, con rincari che vanno dal +15% del vetro al +70% della carta, per arrivare a una consistente maggiorazione dei costi di trasporto, saliti in media del 10-15%, con il gasolio incrementato, dal 2020 ad oggi, di circa il 40%. Quindi tra i maggiori costi in stalla ed in caseificio una filiera di prodotto, qual è Latteria Soligo, deve affrontare il mercato con una maggiorazione costo di quasi 14 centesimi per litro di latte lavorato.
Un ritocco ai prezzi dei prodotti è pertanto necessario in questo periodo così complicato per il settore lattiero caseario, come sostiene Brugnera: “Credo che i nostri consumatori, abituati ad acquistare prodotti del territorio che sono sicuri, genuini, buoni e ‘perfetti’, come cita il nostro statuto, comprenderebbero e accetterebbero questi rincari, che sarebbero comunque attuati con un forte senso di responsabilità che trova le proprie radici nell’economia sociale del professor Giuseppe Toniolo. Ne va della sopravvivenza degli allevamenti. E se chiudono le nostre stalle saremo costretti ad importare il latte dall’estero con maggiori costi e senza controlli, privando dei prodotti locali più ricercati il nostro territorio che, anche grazie a queste tipicità, è divenuto meta turistica molto ambita ed apprezzata. E anche la Grande Distribuzione sarebbe priva di questi prodotti, con delusione dei consumatori”.
La Grande Distribuzione, infatti, obietta che eventuali aumenti dei costi di produzione non possono essere scaricati sul carrello della spesa del consumatore finale. Un cane che si morde la coda? “Di fronte a questo scenario è a mio avviso indispensabile una forte collaborazione tra chi produce e chi dialoga con il consumatore ogni giorno – dice Brugnera – perché produttori e distributori hanno la stessa responsabilità nei confronti dei consumatori ma non si può pensare che solo chi produce debba farsi carico degli esagerati aumenti degli ultimi mesi. Ce lo hanno insegnato i nostri padri fondatori: collaborare tutti insieme per vivere meglio, tutti”.
“Riconoscere a chi produce qualità un piccolo aiuto, significa evitare la sua morte economica che, a sua volta, si tradurrebbe in una notevole diminuzione proprio di quei prodotti made in Italy che il mondo ci invidia e che la grande distribuzione cerca. Resta però poco tempo per trovare una soluzione: l’alternativa sono i grandiosi allevamenti da migliaia di capi sparsi nel mondo che riteniamo non idonei per un ambiente a misura d’uomo. In poche parole: non si proteggono i consumatori con la chiusura degli allevamenti”, conclude.
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