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Pari opportunità: Bcg, solo 13% aziende web3 ha almeno una donna nei team

16 Febbraio 2023

Roma, 16 feb. (Labitalia) – Le aziende del web3, che plasmano la nuova frontiera dell’innovazione lavorando alle applicazioni per il metaverso, alle tecnologie blockchain e alle criptovalute, non sono poi così innovative quando si parla di gender balance. Nel comparto che si occupa della nuova frontiera del web, infatti, le donne sono ampiamente sottorappresentate tra fondatori e investitori, ancora più che nei settori stem e nell’industria tecnologica in generale. Questi sono alcuni dei risultati dell’ultimo studio di Bcg X, l’unità di progettazione e costruzione tecnologica di Boston consulting group (Bcg), in collaborazione con People of crypto lab, uno studio che si occupa di creatività e innovazione e che mira a promuovere la diversità, l’equità e l’inclusione nell’ecosistema web3. Le società hanno affrontato insieme l’analisi della diversità nei team operanti nel nuovo settore, utilizzando un database fornito da Crunchbase composto da quasi 2.800 partecipanti nel mondo.

La ricerca ‘Web3 already has a gender diversity problem’ rileva inoltre, un gap in termini di fondi destinati alle aziende del web3: le startup composte da soli uomini raccolgono in media quasi quattro volte di più rispetto ai team fondatori composti da sole donne. Quasi 30 milioni di dollari per i primi, contro circa 8 milioni per i secondi. E tra le aziende web3 che hanno raccolto più di 100 milioni di dollari, non ci sono team composti da sole donne. La disparità di genere non riguarda solo i cosiddetti founding team, ma si estende all’intera forza lavoro: la percentuale di donne sale a circa il 27% se si prendono in considerazione tutti i dipendenti delle principali aziende web3, ma spesso si tratta di una presenza assorbita soprattutto da funzioni non tecniche, come il marketing e le risorse umane. È allarmante notare che questo divario è addirittura maggiore rispetto a quello registrato nei settori stem, dove le donne rappresentano il 33% della forza lavoro, con il 25% che ricopre ruoli tecnici.

“I numeri sono allarmanti. Oltre che una crisi di diversità questa è una crisi economica, perché così si perde l’occasione di supportare e far crescere quei business pensati per le consumatrici e non solo per i consumatori. Con il web3 non si parla semplicemente di tech, ma si intende la tecnologia applicata a ogni settore e a ogni aspetto della vita”, ha dichiarato Paola Scarpa, managing director e partner di Bcg. “Le aziende web3 plasmeranno il modo in cui le persone si rappresentano online, fanno affari e interagiscono tra loro. La ricerca Bcg rileva che le aziende con team di leadership diversificati risultano più innovative e più redditizie. Non abbracciare e usare la diversità fin dall’inizio, si traduce per molte aziende nella rinuncia a enormi opportunità di business e monetizzazione”. Gli ecosistemi che lavorano al web3 sono però ancora all’inizio del loro sviluppo e intervenendo tempestivamente si possono affrontare queste criticità con delle misure specifiche. Misurare tutto: un primo passo fondamentale è relativo alla misurazione e alla capacità di rendicontare in modo preciso e oggettivo la rappresentanza femminile e gli altri aspetti legati alla diversità in tutto l’ecosistema di fondatori, dipendenti e investitori.

Inserire donne nei gruppi di investimento: i dati mostrano chiaramente che i pregiudizi inconsci possono influenzare le scelte di finanziamento e che i gruppi di investimento composti da soli uomini, tendono con maggiore probabilità a sostenere fondatori con team composti di soli uomini. Per ovviare a questo problema, alcune società di venture capital richiedono di includere almeno una donna tra gli stessi investitori. Progettare esperienze di marca che siano inclusive: le aziende che creano una presenza digitale nel web3 devono assicurarsi di creare la più ampia gamma di esperienze per la più ampia base possibile di consumatori.

Costruire un ecosistema di supporto: le aziende devono investire tempo e risorse per garantire che le fondatrici e le investitrici nello spazio web3 possano attingere a reti forti, diversificate e inclusive. L’attività di mentorship – da parte di donne così come degli uomini – è particolarmente importante per aprire le porte alle aspiranti fondatrici e investitrici. E’ necessaria una particolare attenzione alla sponsorizzazione di eventi che garantiscono la parità di genere tra i relatori, con un impegno ad avere almeno il 30% di relatori donne come punto di partenza. Collaborare con le autorità di regolamentazione: mano a mano che i governi e le organizzazioni non profit si concentrano maggiormente sulle questioni ambientali, sociali e di governance (esg), aumenta anche lo sviluppo di requisiti di rendicontazione più severi così come nascono nuove misure relative alla composizione di genere di aziende e industry. Le aziende e gli investitori hanno l’opportunità di collaborare in modo proattivo e di contribuire alla definizione del nuovo scenario normativo, anziché subire le nuove regolamentazioni in maniera passiva.

“Il web3 rivoluzionerà il modo in cui interagiamo, effettuiamo transazioni e monetizziamo come società, ma si tratta di un traguardo che potrà essere pienamente raggiunto solo se le donne saranno coinvolte in egual misura nel suo sviluppo”, ha dichiarato Simone Berry, cofondatrice di People of crypto lab e coautrice dello studio. “Nonostante l’attuale ecosistema – ha spiegato – tende a essere condizionato verso gli uomini, ci troviamo in una fase iniziale di sviluppo con l’incredibile opportunità di non ripetere gli errori del passato garantendo alle donne le risorse e i finanziamenti di cui hanno bisogno per partecipare alla guida della nuova economia digitale”.

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