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Pari opportunità, Venturini (Quindo): “On line l’uso del genere maschile prevale ancora nel contesto lavorativo”

26 Maggio 2023

Roma, 26 mag. (Labitalia) – Le parole contano anche e soprattutto sul lavoro. A dirlo Quindo che ha svolto un’indagine sui bias culturali e di genere nel contesto lavorativo. “Quello che è emerso – spiega all’Adnkronos/Labitalia la filologa Laura Venturini founder Quindo, agenzia Seo – nonostante ci siano segnali di cambiamento, è che l’uso del maschile sovraesteso online prevale ancora, così come alcuni bias legati alle professioni. Ci sono esempi davvero curiosi. Quando pensiamo a un medico, anche per la cura della salute femminile, pensiamo al maschile. Le persone cercano la ‘ginecologa’ solo nel 17% dei casi. Eppure in Italia ci sono 13.899 specialisti in ginecologia, il 42% sono donne, nella fascia di età inferiore ai 50 anni, le dottoresse sono oltre il 60%”.

“Se vogliamo restare in ambito sanitario – precisa – e parole più cercate in abbinamento al termine ‘infermiera’ hanno a che fare con la pornografia. L”infermiera sexy’ è cercata migliaia di volte in più rispetto alle informazioni sullo stipendio della professione. Considerando che la professione di infermiere è stata aperta al personale maschile solo dal 1971 (legge n. 124) è davvero indicativo. E non è l’unico caso in cui la professione svolta da una donna sia associata al mondo del porno, penso a operaia o massaggiatrice”.

“In Italia – spiega – nel mondo del lavoro, le donne sono ancora sottorappresentate e sottovalutate. Cercando su Google consigli per il ‘look da colloquio di lavoro’ il 95% delle immagini rappresenta una donna. Come se solo le donne dovessero preoccuparsi di come si vestono in contesti professionali. Siamo ancora legati a questi stereotipi. Le ricerche su Google riflettono le tendenze e le opinioni della società: le persone ‘cercano come parlano’ e utilizzano il motore di ricerca per trovare informazioni su ciò che è di loro interesse”.

“Ci sono esempi – fa notare – che fanno sorridere ma sono lo specchio di una realtà decisamente stereotipata. La parola chiave ‘portiera’, declinata in vari modi, rimanda sempre alle auto e se aggiungiamo la parola ‘donna’, ci vengono mostrate foto di donne vicino a portiere di automobili. Il tema del lavoro non esiste proprio, non ci viene proposta una custode e men che meno una giocatrice di calcio. Non esistono le ‘ingegnere donna’ e il termine ‘casalingo’ può essere solo un aggettivo”.

“Quando gli utenti – racconta Laura Venturini – cercano informazioni su una parola che non è presente nel database di Google, il sistema di apprendimento automatico registra questa parola come una nuova query di ricerca. Se la parola viene cercata con una certa frequenza, Google la aggiungerà al suo database e la assocerà ai contenuti rilevanti, in modo che possa essere trovata più facilmente in futuro. In questo modo, il sistema di apprendimento automatico di Google continua a migliorare la sua comprensione del linguaggio naturale e ad aggiungere nuove parole al suo vocabolario, compresi i femminili professionali”.

“Le parole – commenta – hanno un enorme potere: costruiscono il pensiero. Il nostro pensiero è plasmato dalle parole che utilizziamo per comunicare e descrivere la realtà. Le parole sono fondamentali per la nostra capacità di comprendere il mondo e per esprimere noi stessi, influenzano profondamente il modo in cui ragioniamo e interagiamo con gli altri. Utilizzando un vocabolario inclusivo e consapevole, promuoviamo l’uguaglianza di genere e contribuiamo alla creazione di ambienti lavorativi inclusivi. Se poi vogliamo essere pragmatiche, gli studi dimostrano che la disuguaglianza nel mercato del lavoro ha un costo e penalizza anche gli uomini: se si riducesse il divario di genere, il pil pro-capite dell’Unione europea aumenterebbe del 10%”.

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