Wellbeing è la nuova parola d’ordine, 1 impresa su 3 cura il welfare
Roma, 29 nov. (Labitalia) – Wellbeing è la nuova parola d’ordine quando si parla di welfare aziendale, ovvero di quelle iniziative promosse dalle imprese per migliorare la qualità di vita dei propri lavoratori tramite servizi e bonus di diversa natura. Twenix ha approfondito la tematica creando un nuovo White paper sul tema del welfare aziendale.
Secondo l’indagine internazionale Disconnect to reconnect di Adecco, ben il 73% delle aziende ritiene che il benessere dei dipendenti sia diventato molto importante per migliorare il loro tasso di engagement (39%) e soddisfazione (24%). Un dato confermato dal Future workplace 2021 hr sentiment survey condotto da Forbes, che rivela come il 68% dei responsabili hr senior consideri il benessere psicofisico del personale come una delle massime priorità.
La scelta dei benefit aziendali è sempre più vasta: non soltanto buoni pasto, abbonamenti per i trasporti pubblici e assicurazioni sanitarie, ma anche massaggi, frutta e verdura gratis, corsi di fitness, tornei di calcio internazionali e, soprattutto, iniziative che permettano di acquisire o migliorare le proprie competenze professionali, a cominciare da quelle linguistiche.
“Il wellbeing – afferma in proposito Beatriz López Arredondo, head of people di Twenix, società impegnata nel settore edtech – che offre percorsi formativi in inglese a imprese e professionisti è sempre stato al centro dell’attenzione dei team di hr: in base alle proprie dimensioni, alla propria disponibilità economica, alle necessità e agli obiettivi da raggiungere, ogni azienda ha offerto cataloghi di partnership, sconti, voucher e opzioni diverse ai propri dipendenti”.
“La vera rivoluzione – aggiunge – rispetto al passato è che non sono più soltanto le grandi aziende, o multinazionali a prendere in considerazione piani di wellbeing, ma sempre più startup fondate da giovani e aziende in cui lavorano professionisti millennials e della generazione Z”.
Il cambiamento in atto è ben fotografato dal Welfare index pmi 2021, report annuale sul welfare nelle piccole e medie imprese italiane, che rivela come dal 2016 le aziende con un livello di welfare elevato siano aumentate in modo significativo, passando dal 9,7% al 21%, e quelle con un welfare di base siano scese invece dal 49,3% al 35,8%. Catalizzatrice indiscussa del processo è stata la pandemia, che ha riportato al centro i lavoratori come persone, dando un ruolo di primo piano alle loro esigenze individuali.
Come spiega Randstad, il grado di benessere del personale e la qualità delle performance aziendali sono profondamente correlati: la creazione di un buon ambiente di lavoro e un equilibrio tra lavoro e vita privata riducono i tassi di assenteismo, incentivando la produttività e l’engagement dei team; una maggiore soddisfazione dei lavoratori produce fidelizzazione e dunque una minorerotazione del personale. Il che si traduce in un vantaggio economico, dal momento che investire su dipendenti già assunti ha un costo inferiore rispetto al formare nuove risorse; l’appagamento dei dipendenti favorisce una buona reputazione aziendale, con maggiori possibilità di attrarre nuovi talenti.
Quando le politiche di welfare sono calibrate sui bisogni dei dipendenti, i risultati non tardano ad arrivare. Le stime emerse dal Welfare index pmi 2021 lo mostrano chiaramente: le società con welfare come ‘leva strategica’ hanno avuto un ritorno in termini di produttività, soddisfazione e fidelizzazione della forza lavoro. Eppure, gli studi concentrati sul wellbeing e sui suoi effetti positivi sui bilanci aziendali si scontrano con un altro dato di segno opposto.
Adecco rivela infatti che solo un 1/3 delle aziende mette in atto iniziative volte al benessere dei lavoratori che vadano oltre all’offerta di orari e sedi di lavoro flessibili. Questo spiegherebbe perché il 45% dei dipendenti (60% in Italia) ritiene che la propria società non fornisca un supporto in termini di benessere.
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