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**C.sinistra: sigle e alchimie, storia tormentata della perenne ricerca del ‘graal’ dell’unità**

4 Ottobre 2024

Roma, 4 ott. (Adnkronos) – In principio fu il trattino. Bisogna andare un po’ indietro con la memoria e tornare a governi di centro-sinistra guidati da Aldo Moro con dentro il Psi. Una formula che aveva superato quella del “tripartito” (Dc-Psdi-Pri) utilizzata da Amintore Fanfani. Per dire che la passione del centrosinistra per le alleanze, le alchimie e gli schemi non nasce ieri. Affonda le radici nella Prima Repubblica. E regala un bel po’ di pagine di cronaca politica da incorniciare e che arrivano fino ai tormenti di questi giorni del campo largo, ribattezzato ormai “campo santo”.

La questione trattino torna di attualità anni dopo, ad opera di Francesco Cossiga. Che lo ritira fuori quando mette assieme i suoi “straccioni di Valmy” per portare Massimo D’Alema a palazzo Chigi, seppellendo così per sempre il fattore K. Era la fine degli anni ’90. Ma il centrosinistra da tempo si esercitava in formule di vario tipo per trovare il sacro ‘graal’ dell’unità e chiudere intese politica.

A inizio anni ’90 c’era stata l’Alleanza dei Progressisti, king maker Willer Bordon. Un fronte “laico-riformista” formato da un elenco lunghissimo di partiti: Cristiano Sociali, Federazione dei Verdi, La Rete, Rifondazione Comunista, Pds, Psi, Rinascita socialista. La fine è nota: l’Alleanza si trasforma nella “giocosa macchina da guerra” guidata da Achille Occhetto contro Silvio Berlusconi alle elezioni del ’94, quelle del trionfo del Cavaliere e della sua discesa in campo. Non un buon viatico. Ma il centrosinistra è subito al lavoro sugli alambicchi e, con l’avvio del bipolarismo e l’impegno di Romano Prodi, inizia la stagione dell’Ulivo.

(Adnkronos) – L’unità del centrosinistra non è però impresa facile. Così alla formula vincente si arriva per gradi e, soprattutto, sigle. Tante sigle. Nasce il Triciclo, che mette insieme Democratici di sinistra, Margherita e Socialisti democratici italiani (con i Repubblicani europei a un passo). Tocca ai Democratici, sulla spinta del successo dei sindaci ulivisti e con Prodi e Arturo Parisi grandi strateghi. Si arriverà anche a Uniti nell’Ulivo, che corre alle europee.

Me è l’Ulivo il ‘brand’ che fa sognare il popolo di centrosinistra, tanto da assaporare il gusto della vittoria elettorale e dell’esperienza di governo. Le sue vicende dimostrano però che trovare formula e nome azzeccati non basta per cementare il fronte progressista. Tante le dispute interne di quegli anni. Una, sicuramente, da ricordare. Si risale al ’97, agli albori del centrosinistra unito. A Gargonza Prodi riunisce intellettuali e leader per ispirare e cementare il fronte. Massimo D’Alema fa quello che lui stesso definisce un intervento “spigoloso”.

E, tra l’altro, osserva: “Non mi si venga a dire che si fa una nuova formazione politica mantenendo i partiti che ci sono, siamo seri…Che poi nasce il problema su chi è sovrano!”. I cronisti, lasciati fuori dall’abbazia e alla mercè di un vento gelido, annotano un deluso intervento di Umberto Eco subito dopo quello di D’Alema: “Si doveva parlare di idee e invece ci si interroga se l’Ulivo debba o meno diventare un partito”. E sia. Intanto gli alchimisti del centrosinistra non si fermani mai. Così si inizia a parlare di Gad: la Grande alleanza democratica che avrebbe dovuto superare i confini dell’Ulivo per comprendere ancora più partiti, compresi quelli più ‘massimalisti’ come Pdci e Rifondazione. Ma non basta, perché in parallelo alla Gad nell’area progressista si discute anche di Fed.

(Adnkronos) – “L’unità programmatica e operativa della Gad è indispensabile per battere Berlusconi. Mentre la Fed, la Federazione ulivista, è un progetto più di lungo periodo che rischia di danneggiare la Gad”, ammonisce Alfonso Pecoraro Scanio. Ma tutte queste sigle fanno girare la testa agli stessi ideatori: “Troviamo un altro nome. Tra Gad e Fed sembra un cartone di Disney!”, lamenta Francesco Rutelli.

Intanto il quadro politico cambia, il centrosinistra abbandona il governo. Ed è tempo di altre formule. L’idea nuova è quella che viene al sociologo Giampaolo Fabris: una “Unione per la democrazia” per serrare il fronte progressista e tornare a vincere. Bello, ma troppo lungo. Sarà, quindi, Unione. Sempre con Romano Prodi al timone. “Chiamatela Unione sovietica!”, ironizza subito Silvio Berlusconi in una sua telefonata a sopresa al Tg di Emilio Fede.

Le cronache dell’Unione sono stra note, le 281 pagine del programma per tenere insieme il numero sconfinato di alleati, le vittorie elettorali, le liti tra ‘partner’ e, copione già visto, la rottura e la sconfitta. Da allora il centrosinistra è alla perenne ricerca della formula (e della sigla) giusta per vincere le elezioni. Dalla nascita del Partito democratico con la sua “vocazione maggioritaria” alla coalizione Italia bene comune messa insieme da Pier Luigi Bersani. Dalla lista Italia democratica e progressista varata da Enrico letta alle ultime politiche, alla foto di Vasto con Di Pietro, Vendola e Bersani passando per il Nuovo Ulivo che spunta periodicamente a ogni urna. Fino al Campo largo (con Pd e M5s partner principali) ideato da Nicola Zingaretti e portato avanti fino a oggi. Dalla vittoria alle regionali in Sardegna fino alla sentenza di questi giorni di Giuseppe Conte: “Il campo largo non esiste più”.

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