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**Caporalato: Fumarola (Filctem), ‘troppi appalti e norme labili favoriscono illegalità nella moda’

6 Aprile 2024

Milano, 6 apr. (Adnkronos) – L’eccessiva esternalizzazione e una legge sul Made in Italy dai confini troppo ‘labili’ pesano sulle produzioni italiane, rischiando di favorire situazioni di illegalità che possono sfociare nello sfruttamento dei lavoratori e nel mancato rispetto delle norme sulla sicurezza. C’è tutto questo, come spiega all’Adnkronos Giordano Fumarola, segretario generale della Filctem Cgil, dietro i recenti fatti di cronaca che vedono grandi marchi della moda finire sotto alla lente della magistratura per possibili irregolarità sulle produzioni.

L’ultima inchiesta a finire sul tavolo dei pm di Milano Paolo Storari e Luisa Baima Bollone, riguarda la Giorgio Armani operations spa, coinvolta in un caso di un presunto sfruttamento del lavoro attraverso l’utilizzo, negli appalti per la produzione, di opifici abusivi e il ricorso a manodopera cinese in nero. “Il problema -afferma Fumarola- è l’eccessivo appalto che le produzioni hanno; la questione nasce quando in un opificio vengono trovati oggetti griffati; si scopre che questo stesso opificio è un appaltatore di un altro opificio, che appalta direttamente dalla griffe e molto spesso l’appaltante non conosce il percorso che fanno queste produzioni. Succede quindi che magari le griffe appaltano a società perfettamente in regola, che a loro volta appaltano ad altre società e a volte, nello step finale, si finisce con laboratori irregolari”.

Un altro dei grossi problemi è la struttura della legge che definisce il Made in Italy: “la norma Versace/Reguzzoni, la 55/2010, è piuttosto labile, nel senso che basta effettuare due sole fasi di produzione, come riaprire un’asola o attaccare un’etichetta, perché un capo possa legittimamente fregiarsi del marchio ‘made in Italy’; ciò vuol dire che una giacca totalmente prodotta in Cina e appena sfiorata in Italia possa avere senza alcun problema la certificazione. Chiaramente si tratta di una falla”. Ora, “il combinato disposto tra questi due elementi determina uno straordinaria ‘pendolazione’ nel sistema della moda. Il sistema tessile italiano, cioè, ha sempre vissuto con politiche protezionistiche e mai espansive, cioè abbiamo sempre provato a tutelare il nostro know-how, ma non abbiamo mai provato a fare un vero e proprio sviluppo”. E questo passa anche dal controllo della supply chain: “Poter controllare tutte le fasi della produzione -avverte Fumarola- aiuta certamente a garantire maggiore qualità e anche guadagni più sicuri”. Dunque “ben venga il Tavolo della Moda, auspicato dal presidente del tribunale di Milano Roia, che in realtà esiste già e sta lavorando proprio in questa direzione”.

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