Caporalato: lavoratori opifici cinesi pagati 1 euro al pezzo per prodotti Armani
Milano, 5 apr. (Adnkronos) – Opifici-dormitorio abusivi. Sono quattro le strutture, per lo più a Pieve Emanuele (Milano), scovate dal Nucleo ispettorato del lavoro dove venivano realizzati accessori del marchio Giorgio Armani. Scoperta che ha portato il Tribunale di Milano a decidere per l’amministrazione giudiziaria (per un anno) della Giorgio Armani Operations spa, società industriale del gruppo di alta moda, con oltre 1200 dipendenti, che non avrebbe vigilato sulla filiera produttiva. Le descrizioni delle strutture sono, in gran parte, simili: un’area con i macchinari spesso privi delle misure di sicurezza per aumentare la produttività, una zona per consumare i pasti e un soppalco dove riposarsi prima di riprendere turni di lavori non rispettosi del contratto collettivo nazionale.
Nel decreto, che riporta alcune testimonianze, tra cui quello di una 22enne italiana, emerge come seppur i lavoratori “siano inquadrati per 4 ore giornaliere, sia verosimile che l’effettivo orario di lavoro sia di gran lunga superiore alle 4 ore giornaliere o alle 20 settimanali”. La stessa lavoratrice, sentita a verbale, conferma che, “seppur assunta formalmente per 4 ore giornaliere, in realtà lavora per 10 ore giornaliere dal lunedì al sabato”. I lavoratori sentiti dagli investigatori hanno riferito “di percepire dai 3 ai 4 euro l’ora”, un operaio ha raccontato di essere pagato a cottimo “da 0,50 a 1 euro al pezzo” e un titolare cinese ha sostenuto “di avere prodotto circa 1.000 borse dal mese di marzo 2023” e che li prezzo corrisposto dalla sua committente “per ogni borsa prodotta è di 75 euro”. Per la produzione di un singolo pezzo occorrono circa 3-4 ore e l’impiego di due operai.
Per i giudici, che hanno decretato l’amministrazione giudiziaria, negli opifici cinesi emergono “più indici di sfruttamento dei lavoratori”, diversi in condizione di clandestinità, e in situazioni abitative “degradanti, ricavate all’interno degli stessi luoghi di lavoro, con ambienti abusivi ed insalubri, pericolosi per la loro salute e sicurezza”. Vivendo nei dormitori “erano in sostanza sempre a disposizione del datore di lavoro e di fatto continuamente sorvegliati (in due laboratori era anche presente un impianto di videosorveglianza non autorizzato), con inevitabili riflessi negativi sul rispetto dell’orario di lavoro e dei periodi di riposo, nonché sulla retribuzione (sottosoglia rispetto ai minimi tabellari)”, condizioni di lavoro (anche notturno, come dimostrano i consumi elettrici) “particolarmente svantaggiose che si traducono in un vero e proprio sfruttamento”.
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