Caso Grillo Jr., Ciro e i tre amici condannati per lo stupro di gruppo in Costa Smeralda: la sentenza
Palermo, 22 set. (Adnkronos) – Ci sono voluti sei anni e due mesi per arrivare a un primo verdetto sul presunto stupro di gruppo avvenuto la notte tra il 16 e il 17 luglio 2019 nel residence di Ciro Grillo, figlio del fondatore del M5S Beppe Grillo, in Costa Smeralda. Quattro condanne: otto anni di carcere a Ciro Grillo, Edoardo Capitta e Vittorio Lauria. E sei anni e mezzo al quarto imputato, Francesco Corsiglia.
Inizia tutto quella sera d’estate. Quando due amiche, Silvia e Roberta (nomi inventati ndr), una studentessa italo-norvegese e l’altra milanese, entrambe 19enni, vanno in un locale a Porto Cervo. Qui conoscono Ciro Grillo e i suoi tre amici. Un bicchiere di bollicine, un altro ancora, il privè. E l’invito a casa. Per una spaghettata, nel residence di Grillo junior. Le ragazze accettano. Rimangono fino all’alba. Poi Roberta si addormenta. E Silvia, invece, racconterà più di una settimana dopo, di essere stata stuprata dai quattro ragazzi. A turno. I quattro amici della Genova bene negano tutto. E dal primo istante dicono che i rapporti con Silvia fossero consenzienti. Non solo.
I quattro iniziano a scattare foto e video dell’altra ragazza addormentata. Foto a sfondo sessuale. Finiscono tutti alla sbarra per violenza sessuale di gruppo. Il 16 marzo del 2022 c’è la prima udienza. A rappresentare l’accusa, nel piccolo tribunale di Tempio Pausania, nella Gallura, c’è personalmente il Procuratore Gregorio Capasso. I ragazzi vengono solo raramente. A rendere dichiarazioni spontanee. Il primo luglio di quest’anno il Procuratore chiede la condanna per tutti gli imputati: Nove anni di reclusione con le attenuanti generiche e con le conseguenze accessorie. Una pena altissima. “Non è stato un processo facile, ci siamo impegnati senza farci travolgere dalle emozioni. Tutti questi ragazzi e ragazze sono stati coinvolti in una vicenda più grande di loro per la quale hanno sofferto e stanno soffrendo”, dice Capasso.
Secondo cui gli imputati sono stati “inattendibili”, “hanno adattato la loro versione a seconda delle indagini”, “la ragazza invece ha sempre ripetuto le stesse cose senza mai cambiare le sue dichiarazioni”. E’ questa per il procuratore Gregorio Capasso “la vera chiave di lettura” del processo per violenza sessuale di gruppo sulle due giovani donne.
Silvia, su sua stessa ammissione, quella notte aveva consumato molto alcol per i locali e poi nella casa in uso a Ciro Grillo dove “ha bevuto un beverone preparato dai quattro contenente vodka e lemon soda. Era a digiuno tutto il giorno e anche la sera. A questo si aggiunge la stanchezza per la giornata e nottata trascorsa”, dice Capasso. Il procuratore ha poi spostato l’attenzione sulla sequenza temporale delle presunte violenze sessuali consumate nella villetta in Costa Smeralda. “Sul fatto in sé le versioni degli imputati e della ragazza coincidono, ma la chiave di lettura del processo la troviamo qui, nell’ordine temporale degli eventi. Quella fornita dai ragazzi non è logica”.
Ma la difesa dei giovani non ha mai avuto dubbi: “Nessuno di noi ha mai approfittato di qualcuno o qualcosa. Ho studiato giurisprudenza proprio per questo processo, sono praticante avvocato, credo nella giustizia e vorrei continuare a crederci”, si è difeso Ciro Grillo rendendo dichiarazioni spontanee in aula.
Silvia racconta però un’altra storia. “Non sentivo il mio corpo e neppure le mie braccia, non riuscivo a muovermi..”, ha raccontato in aula nascosta da un paravento. Ha ripetuto di non essere riuscita a urlare, la notte della presunta violenza sessuale nella casa in uso della famiglia Grillo al Pevero, in Costa Smeralda. La giovane ha raccontato di essere stata violentata prima da Francesco Corsiglia e poi, successivamente, degli altri tre.
“Dopo lo stupro di gruppo non avevo più voglia di vivere. Una sera mi misi a correre lungo i binari e volevo lanciarmi contro un treno in corsa. Volevo farla finita…”, ha raccontato. Un racconto drammatico, tragico, durato oltre cinque ore e mezzo. “A un certo punto, quella notte, fui costretta a bere della vodka dalla bottiglia. Vittorio (Lauria ndr) mi afferrò la testa con la forza e con una mano mi teneva il collo e con l’altra mi forzava a bere”, ha raccontato ancora in aula. Una vodka “dal colore e dal sapore strano”. Ha anche raccontato che dopo il presunto stupro avrebbe ripetuto più volte degli atti di autolesionismo. “Mi tagliuzzavo e mi graffiavo volutamente”, ha raccontato.
Nelle repliche i difensori dei quattro imputati, gli avvocati Gennaro Velle, Mariano Mameli, Ernesto Monteverde, Enrico Grillo, Andrea Vernazza e Alessandro Vaccaro, hanno ribadito l’estraneità dei loro assistiti alle accuse di violenza sessuale. Ma non è bastato. Il Tribunale ha creduto alla vittima. E ha condannato tutti.
Alla lettura del dispositivo non era presente nessuno dei quattro imputati. E neppure ‘Silvia’. Anche se avrebbe voluto, ma la sua legale, l’avvocata Giulia Bongiorno, le ha consigliato di non venire. “Per evitare di essere ripresa”, ha spiegato la legale. . (di Elvira Terranova)
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