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“Catene a mani e piedi, trattati come animali”: parla la zia di un italiano detenuto ad Alligator Alcatraz

22 Luglio 2025

Palermo, 22 lug. (Adnkronos) – “Mio nipote è disperato. Mi ha detto: ‘Fai tutto ciò che puoi, ma fammi uscire. Qui è un inferno'”. A dirlo all’Adnkronos è Lucia Vitale, zia di Gaetano Mirabella Costa, uno dei due italiani rinchiusi ad Alligator Alcatraz, il centro per migranti irregolari nelle paludi della Florida.

Quarantacinque anni, originario di Fiumefreddo di Sicilia (Catania) e da una decina di anni negli Stati Uniti, Costa da sabato 12 luglio è rinchiuso nella struttura carceraria voluta dall’amministrazione Trumpnella Contea di Miami-Dade. “Il 3 gennaio scorso all’uscita da un supermercato – racconta la zia – lo hanno fermato 6 o 7 pattuglie della Polizia con i cani antidroga. Gli hanno trovato due spinelli e lo hanno arrestato per detenzione di droga”. Il 45enne viene portato in carcere nella Contea di Marion. Un’accusa, il possesso di sostanze stupefacenti, che si aggiunge a quella per un’aggressione a un 65enne avvenuta nell’estate dello scorso anno.

“Mio nipote non ha aggredito nessuno, si è solo difeso e nel farlo ha colpito quell’uomo. Erano in tre contro di lui”, dice adesso la zia. Lo scorso 9 luglio l’udienza che avrebbe dovuto portare alla sua scarcerazione dopo sei mesi di reclusione. “Per il giudice il caso era chiuso – racconta ancora la zia – ma il procuratore generale si è opposto alla scarcerazione, sostenendo che Gaetano doveva essere trattenuto perché l’Ice, gli ufficiali federali che si occupano di immigrazione negli Stati Uniti, lo avrebbe portato in un centro per migranti. E così è finito ad Alligator Alcatraz. Ci è finito perché dicono che i suoi documenti non sono in regola, ma non è così. Aveva un’estensione del permesso di soggiorno sino a dicembre. Il 10 luglio, all’indomani della sua scarcerazione, alle 9.30 avevamo un appuntamento al Consolato di Miami per rinnovare il suo passaporto e alle 19.30 sarebbe partito per l’Italia”.

Nel centro di detenzione creato in un aeroporto dismesso nelle paludi delle Everglades, in mezzo a foreste di mangrovie, tra rettili, serpenti velenosi e alligatori, Mirabella Costa sarebbe stato condotto incatenato. “Lo hanno portato con le catene alle braccia e ai piedi, come fosse un assassino – denuncia la zia -. In nove giorni ha potuto fare la doccia solo tre volte e per andare in bagno deve chiedere il permesso. I bagni non hanno porte, per avere un po’ di privacy bisogna coprirsi con un lenzuolo o con una tovaglia. Da tre giorni mio nipote sta male, ieri aveva la febbre ma non gli hanno dato nessun farmaco. Sono una trentina in una tenda e per letto ha una brandina. ‘Qui è un inferno, siamo trattati come animali. Aiutami a uscire’, mi ha detto. E’ molto abbattuto”. Un appello che Lucia Vitale adesso rende pubblico perché il nipote sia tirato fuori da Alligator Alcatraz. Al più presto. (di Rossana Lo Castro)

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