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Elezioni Europee, cosa succede dopo voto? Cruciale cena leader il 17 giugno

5 Giugno 2024

Bruxelles, 4 giu. (Adnkronos) – Dopo le 23 di domenica 9 giugno, quando si chiuderanno le urne delle elezioni europee, prenderà il via il Grande Gioco delle nomine Ue. Se tutto andrà come previsto e non usciranno grosse sorprese, lo scenario di base è già tracciato: il primo appuntamento cruciale sarà la cena informale dei capi di Stato e di governo che si terrà a Bruxelles la sera di lunedì 17 giugno. Da quella cena, in questo scenario, dovrebbe uscire un quadro già sufficientemente chiaro delle nomine.

Lo schema di massima è il seguente: presidente della Commissione Europea al Ppe, probabilmente a Ursula von der Leyen; il presidente del Consiglio Europeo ai Socialisti (il nome ancora non è chiaro, sono circolati quelli del portoghese Antonio Costa e della danese Mette Fredriksen, che però è nordica); l’Alto Rappresentante probabilmente ai Liberali di Renew Europe.

La presidenza del Parlamento Europeo, anche se in genere fa parte del pacchetto, è una partita distinta, che si gioca nell’Aula, riottosa ai diktat dei leader: non è un mistero che la maltese Roberta Metsola punti alla rielezione, ma Socialisti e Liberali potrebbero mettersi di traverso. Se la cena del 17 giugno andrà come previsto, allora il Consiglio Europeo del 27 e 28 giugno, che dovrebbe approvare i ‘top jobs’, potrebbe essere dedicato più ai contenuti che ai nomi.

Aiuta, nel corroborare la plausibilità di questo scenario, il fatto che il Ppe annoveri nelle sue file ben 13 capi di Stato e di governo su 27: senza i Popolari, è molto difficile, se non impossibile, trovare un accordo nell’Euco. Tuttavia, i Popolari governano uno solo dei cinque grandi Paesi dell’Ue, la Polonia, con Donald Tusk. La Francia è governata da un liberale, il presidente Emmanuel Macron, Germania e Spagna da due socialisti, Olaf Scholz e Pedro Sanchez, l’Italia da una conservatrice, Giorgia Meloni.

Malgrado i media si concentrino sull’avanzata delle destre, come già nel 2019 quando il tentativo di Steve Bannon e Mischael Modrikamen di creare un”Internazionale nera’ si infranse poi contro la realtà di due destre inesorabilmente divise, i sondaggi oggi disponibili non avallano affatto lo scenario del ‘ribaltone’. L’ultima media pubblicata da EuropeElects venerdì scorso, che non è chiaro se sia pubblicabile in Italia o meno (l’AgCom dovrebbe decidere in merito domani, a tre giorni dal voto: in ogni caso, è pubblicamente disponibile sul Web), stima una chiara maggioranza per Ppe, S&D e Renew.

Il gruppo Identità e Democrazia, perdendo AfD, abbandona la speranza di diventare il terzo gruppo dell’Emiciclo. L’Ecr dovrebbe andare bene. Certo, potrebbe crescere ancora di più con gli ungheresi di Fidesz, ma perderebbe probabilmente i cechi di Ods e i Veri Finlandesi, entrambi decisamente filoucraini e ostili al partito di Orban. E’ vero che Id e Ecr insieme, anche senza AfD, potrebbero formare il secondo gruppo dell’Aula, ma per ora è un’ipotesi fantascientifica, che non fa i conti con la realtà di destre divise, ancora di più dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia.

Sopra a Verdi/Ale e Sinistra, il quarto ‘gruppo’ sono al momento i Non Iscritti, che comprendono i Cinquestelle, che dovranno trovare una ‘casa’, se non vogliono passare un’altra legislatura nel Limbo. Occorrerà monitorare le mosse del Buendnis Sahra Wagenknecht, che potrebbe rimescolare lo scenario a sinistra dei Socialisti. I movimenti nei Non Iscritti saranno probabilmente determinanti per plasmare i gruppi politici della prossima legislatura.

La probabilità che si realizzi lo scenario base è alta, ma non altissima: le incognite non mancano. Tutto dipenderà dal risultato delle elezioni: un conto sono i sondaggi, un altro il voto. Secondo le rilevazioni, i Socialisti dovrebbero reggere, nel complesso, ma in Germania l’Spd soffre.

I Liberali appaiono in difficoltà sia in Francia (dove il Rassemblement National di Marine Le Pen è previsto in testa e potrebbe doppiare i ‘macronisti’) che in Germania, dove l’Fdp di Christian Lindner fatica, mentre reggono i Freie Waehler. In Italia il campo liberale è diviso, mentre in Spagna i Ciudadanos sono spariti. Senza contare che il 10 giugno il gruppo dovrebbe decidere se cacciare il Vvd di Mark Rutte, che ha fatto un accordo con il Pvv di Geert Wilders. Non è scontato che finisca con la cacciata del partito del prossimo segretario generale della Nato, ma è presto per fare previsioni.

L’Ecr dovrebbe andare bene, ma paga, in termini numerici, l’assenza dal primo Paese Ue, la Germania, mentre in Francia Reconquete di Eric Zemmour dovrebbe dare un apporto non trascurabile. Le difficoltà dell’Spd in Germania e di Renaissance in Francia potrebbero complicare il quadro post elezioni e vanificare lo scenario base. Se quest’ultimo dovesse concretizzarsi, la candidata in campo è Ursula von der Leyen, appoggiata dal Ppe. Deve passare, però, prima in Consiglio Europeo, dove addirittura corre voce, non si quanto fondata, che Charles Michel voglia ostacolarne il bis, e poi in Parlamento. Se von der Leyen verrà effettivamente indicata dai leader come presidente, poi dovrà andare in Aula a farsi eleggere, un passaggio tutt’altro che scontato.

Sulla carta, Ppe, S&D e Renew dovrebbero avere abbastanza voti per confermarne la nomina. Ma il voto è segreto, i franchi tiratori a Strasburgo sono nel loro habitat e non sono previste rivincite: o la va o la spacca. Dunque, nel caso in cui von der Leyen esca indicata dal Consiglio Europeo il 27-28 giugno, prima si faranno bene i conti, per avere margine sufficiente ed essere certi che passi. Poi, se ci sarà la certezza di avere i numeri, allora si procederà in una plenaria a luglio; in caso contrario, si rimanderà a settembre, per non rischiare di vedersi bocciata in Parlamento la candidata indicata dai leader (nel 2019 passò per soli nove voti, grazie ai Cinquestelle).

In questo scenario di base, le destre non sono affatto escluse. O meglio: non è escluso l’Ecr, che conta due premier, Giorgia Meloni e Petr Fiala, che, agli occhi del centro politico, si sono dimostrati pragmatici e affidabili. Hanno votato il patto per le migrazioni, hanno votato il nuovo patto di stabilità (a differenza di quanto hanno fatto i Verdi, per esempio): in particolare, se il primo non fosse stato approvato prima di fine legislatura, sarebbe stato un regalo alle destre più euroscettiche, che avrebbero potuto puntare il dito, in campagna elettorale, contro l’inconcludenza di Bruxelles.

Se S&D e Renew escludono qualsiasi accordo politico con l’Ecr, che il candidato di punta dei Socialisti, Nicolas Schmit, ha definito forza non democratica, il Ppe la vede diversamente. Giorgia Meloni, agli occhi dei Popolari, rispetta le tre linee rosse (pro Ue, pro Ucraina e pro Stato diritto), a differenza di altre forze di destra, come il Pis polacco, il Rassemblement National francese e l’ungherese Fidesz. Tuttavia, per votare von der Leyen, i partiti eurodialoganti dell’Ecr, come Fdi e Ods, non avranno necessariamente bisogno di un accordo politico con Ppe, S&D e Renew.

Se i Fratelli d’Italia voteranno von der Leyen, non faranno altro che ripetere, a ruoli invertiti, quello che fecero i polacchi del Pis nel 2019: votarono la tedesca, in cambio del commissario all’Agricoltura, mentre Fdi votò contro, perché all’epoca non aveva motivo per fare diversamente. Nel Parlamento Europeo le maggioranze, inoltre, sono diverse da quelle che si formano nei Parlamenti nazionali. C’è un accordo di legislatura di massima, ma su alcuni dossier si formano maggioranze ad hoc.

L’obiettivo del Ppe, non da oggi, è arrivare ad essere il perno insostituibile della maggioranza: nessuna maggioranza senza di noi, è la parola d’ordine dei Popolari. Oggi, se Socialisti, Verdi, Sinistra e Liberali si accordano, possono mettere il Ppe in minoranza. Nel prossimo Parlamento potrebbe non essere più così. L’obiezione da sinistra nei confronti dell’eventuale appoggio di parte dell’Ecr a von der Leyen in Aula, a conti fatti, ha un peso relativo: se Meloni e Fiala sosterranno von der Leyen nel Consiglio Europeo, non si vede per quale motivo i rispettivi partiti non possano poi votarla in Parlamento. Sempre che tutto vada così, per il verso ‘giusto’. Cosa che, di questi tempi, è tutt’altro che scontata.

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