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I vestiti che indossiamo sono sicuri? L’analisi dei medici anti-fake news

15 Ottobre 2025

Roma, 15 ott. (Adnkronos Salute) – I vestiti che indossiamo possono essere tossici? “Per produrre i tessuti si utilizzano diverse sostanze chimiche. Il processo industriale è in continua innovazione: oggi alcune sostanze sono state vietate e sostituite con composti più sicuri. In particolare, esistono restrizioni all’utilizzo di metalli come mercurio, cadmio, piombo, nichel, cromo. E sono vietati coloranti, solventi e pigmenti che sono classificati come cancerogeni. Tuttavia, non è semplice capire se i vestiti che acquistiamo siano privi di sostanze tossiche. Sull’etichetta è obbligatorio segnalare la composizione del tessuto con ogni tipo di materiale in percentuale, ma non sono elencati gli additivi chimici né la quantità di sostanze che, oltre una certa soglia, diventano pericolose”. E’ l’analisi degli esperti del sito anti-fake news ‘Dottore ma è vero che…?’ della Fnomceo, Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e odontoiatri. Nel focus si mette in guardia sul rischio di venire a contatto con sostanze tossiche, rischio che “si nasconde anche nei tessuti naturali e negli articoli creati per i più piccoli”, spesso prodotti a ritmi vertiginosi all’altro capo del mondo e a prezzi bassissimi.

“Sta al singolo produttore scegliere se dare ulteriori informazioni sulle etichette – spiegano gli esperti – per esempio per i soggetti allergici. Sono nate etichette ‘nickel free’, cioè senza nichel, elemento che si può trovare in alcuni coloranti e che può provocare allergie. Ad oggi, non esiste una legislazione unica a tutela di chi acquista abbigliamento, ma molteplici norme, a seconda del luogo di produzione e di vendita. L’Europa tutela i consumatori con un regolamento sui tessili. Spesso però vengono immessi nei mercati internazionali capi di vestiario che sfuggono ai controlli”.

Alla domanda “Quali i rischi per la nostra salute?”, i medici anti-bufale non hanno dubbi: “Occorre distinguere tra reazioni immediate ed effetti a lungo termine. Diverse sostanze impiegate nella produzione di abbigliamento – sottolineano – possono causare dermatiti da contatto e dermatiti da contatto su base allergica. In questo caso, la reazione della pelle è la risposta del sistema immunitario che riconosce la sostanza come estranea. La dermatite è più frequente nelle donne rispetto agli uomini (67,8 contro 32,2%), probabilmente anche perché le donne utilizzano un’ampia varietà di tessuti, compresi i sintetici, e di colori scuri. Le dermatiti, comunque, sono un disturbo semplice da trattare: il medico di medicina generale o il dermatologo possono prescrivere la terapia più adeguata”.

Per essere sicuri che la reazione sia dipesa dall’abbigliamento, “esistono degli esami specifici, come il patch test (o test epicutaneo), in cui si applicano sulla pelle piccoli campioni di sostanze potenzialmente sensibilizzanti”, proseguono gli esperti anti-fake news. “Tra le sostanze considerate nel patch test ci sono alcuni dei componenti dei tessuti che potrebbero scatenare reazioni: nichel, cromo, coloranti. Si tratta di un esame indolore, occorre solo pazienza per mantenere i cerotti con gli allergeni per 48-72 ore sul dorso; al termine, il medico valuterà le reazioni cutanee e indicherà le eventuali allergie”.

Tra i rischi a lungo termine, la Fnomceo pone l’accento sui materiali cancerogeni, i cosidetti ‘Pfas’. “Sono gruppi di migliaia di sostanze, note come ‘forever chemicals’ (‘chimici per sempre’), perché non si degradano o decompongono. Solo dopo mille anni, la loro concentrazione sul suolo comincia a ridursi del 50%. Uno studio, condotto dall’Agenzia statunitense per la protezione dell’ambiente e della salute, ha approfondito le conseguenze che coinvolgono i bambini, i soggetti più in pericolo, soprattutto quando sono esposti a sostanze tossiche nell’età dello sviluppo”. L’esposizione ai Pfas “può compromettere il sistema immunitario e la funzionalità renale. La presenza di quelle sostanze nel sangue modifica anche l’età delle prime mestruazioni e potrebbe portare a future malattie cardiovascolari”, concludono.

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