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**L.elettorale: intese, scontri e ‘truffe’, la storia complicata delle riforme in Italia**

22 Novembre 2025

Roma, 22 nov (Adnkronos) – La storia delle riforme elettorali nell’Italia ‘moderna’ inizia col botto. Anzi, col sangue. “L’onorevole Ruini è stato ferito alla testa da una tavoletta lanciatagli dai settori dell’estrema sinistra”, si legge nei resoconti della seduta al Senato sulla ‘legge truffa’, la riforma voluta da Alcide De Gasperi nel ’53 e approvata a fatica tra tumulti in aula e di piazza. Un monito, mai ascoltato negli anni a venire, sulla fatica che costa il cambio del sistema di voto. E anche un pò sul prezzo politico che, di solito, paga chi l’ha voluto.

La legge truffa, creata per assicurare piena governabilità alla Dc, non regala il tanto agognato premio di maggioranza allo Scudo crociato, che alle elezioni del ’53 si ferma al 49,85%. La riforma dura un anno, abolita in fretta e furia nel ’54. “La volontà del popolo ha vinto!”, titola l’Unità. Da lì in poi è tutto un confronta, studia, tratta tra i partiti italiani per cercare e approvare il sistema elettorale perfetto, il Graal del potere. Fino ai giorni nostri, con Giorgia Meloni e Elly Schlein descritte come grandi tessitrici dell’ennesimo accordo per riformare il sistema.

Al netto della parentesi della legge truffa, la lunga stagione del proporzionale puro (e del potere custodito nelle mani dei partiti) nell’Italia democratica viene interrotto nel ’93, con la legge che vanta un relatore d’eccezione: Sergio Mattarella. Dopo i referendum e il ‘minotauro’ (il mix di sistemi) che si era creato, il Mattarellum viene approvato senza fiducia da uno schieramento trasversale. Piaceva a tutti? No. “Tradisce lo spirito del referendum”, tuona Marco Pannella, che come sempre bastian contrario vota no.

La novità del Mattarellum è il 75% dei seggi maggioritario, con turno unico in collegi uninominali, il resto proporzionale. L’idea alla base della legge è spingere il bipolarismo. E infatti fa salire sul palcoscenico le due star del genere, Silvio Berlusconi e Romano Prodi, che dominano quel periodo.

Il Mattarellum resta in vigore fino al 2005 quando viene sostituito dal Porcellum. Lo votano Fi, An, Udc e Lega. Non l’Unione. Alla base della riforma messa a punto del leghista Roberto Calderoli c’è l”allergia’ di Silvio Berlusconi per i collegi, che il Cavaliere vede come terreno di troppo facile conquista per i candidati “di sinistra”. Così si torna al proporzionale con un premio di maggioranza e senza preferenze. Il Porcellum regala alla storia maggioranze risicatissime al Senato, che si compone su base regionale.

Come quella di 158 voti a 156 per l’Unione dopo il voto del 2006 segnata dalle ‘gesta’ del senador Luigi Pallaro. Il Porcellum, che vanta ammiratori e detrattori di pari numero, finisce però sotto i riflettori della Corte costituzionale, che lo dichiara in parte incostituzionale nel 2013. E così si arriva all’Italicum, messo a punto in piena era Matteo Renzi, allora premier. Il disegno del ‘rottamatore’, ai temi, è ambizioso. Il sistema elettorale, un proporzionale con sbarramento al 3% e premio al 40%, viene definito solo per la Camera. Il Senato, nel progetto di Renzi, deve diventare una assemblea di secondo grado. Se non peggio.

Da qui in poi, la storia è arci nota. Il referendum manda all’aria la riforma Renzi (e anche la sua permanenza a palazzo Chigi), ma intanto la legge elettorale viene approvata. Con il Senato resta tagliato fuori. In più, anche sull’Italicum la Corte costituzionale dice stop. Insomma, si deve cambiare tutto.

Quindi si approda al ‘Rosatellum’, un sistema misto che viene approvato a larga maggioranza nel 2017 ma con non poca fatica (e diverse fiducie). E con, di nuovo, un monito sempre poco ascoltato. La riforma viene avversata dal M5s, che lo giudica tagliato su misura per le coalizioni di centrodestra e centrosinistra e davvero scomodo per chi di coalizioni non ne vuole sapere. E chi, da lì a poco, finisce al governo? In bocca al lupo a Meloni e Schlein.

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