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Migranti, ecco come funziona la truffa del click day

11 Giugno 2025

Napoli , 11 giu. – (Adnkronos) – Computer di ultima generazione, connessione alla fibra super veloce, esperti informatici e spid: è quanto serviva a una organizzazione con base in provincia di Napoli per “inquinare” il clickday previsto dal Decreto flussi e permettere anche al clan Fabbrocino, la camorra dell’area Nolana, di guadagnare illegalmente sulle pratiche. E’ quanto emerge da un’inchiesta della Direzione distrettuale Antimafia di Napoli, con il procuratore Nicola Gratteri, l’aggiunto Michele Del Prete e il sostituto Giuseppe Visone, che ha analizzato oltre 40mila domande di permesso di soggiorno temporaneo per motivi di lavoro presentate dal 2023.

L’indagine ha attirato l’attenzione della premier Giorgia Meloni che, un anno fa, aveva presentato un esposto alla Procura nazionale antimafia e antiterrorismo proprio per denunciare gravi irregolarità nel sistema del ‘click day’ per i permessi di soggiorno. Una denuncia fatta, ha ricordato oggi la presidente del Consiglio, “mentre molti gridavano allo scandalo e ci accusavano di fare propaganda”. “Avevamo ragione. E avevamo il dovere di denunciare”, rivendica Meloni.

Sono 34 le persone arrestate (11 in carcere, 23 ai domiciliari) dagli agenti della Squadra mobile della Questura di Napoli nell’operazione che, come ha sottolineato la premier, ha smantellato una rete organizzata e criminale “grazie al lavoro della magistratura e delle forze dell’ordine”.

In totale 45 gli indagati, a vario titolo, nell’inchiesta: tra i reati contestati associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina pluriaggravato, estorsione aggravata dal metodo mafioso, falso ideologico e truffa. A capo dell’organizzazione ci sarebbero tre avvocati, in un giro da diversi milioni di euro che avevo permesso ad uno di loro di acquistare una Ferrari, ieri sequestrata dalla Polizia di Stato.

Il sistema prevedeva diverse complicità. Innanzitutto dei procacciatori di cittadini extracomunitari, in gran parte del Bangladesh, desiderosi di ottenere l’approdo in Italia e il visto. Per arrivare al documento – spesso neanche ritirato dai migranti – bisognava passare da un trafila. Prima il Caf di riferimento, gestito da uno dei 3 avvocati, secondo l’accusa. Poi, grazie agli accessi Spid forniti da 11 imprenditori compiacenti (alcuni ignari di ciò che accadeva) che simulavano la volontà di assumere manodopera proveniente dall’estero, la connessione super veloce permetteva di caricare decine di domande per richiedere la regolarizzazione degli immigrati.

Il tutto, scavalcando chi effettivamente ne aveva necessità. Dopo circa 30 giorni, con il silenzio-assenso arrivava il nulla osta che permetteva il passaggio successivo, quello del visto. Per ogni pratica, hanno ricostruito gli investigatori, il costo oscillava dai 2-3mila euro per iniziare, fino ai 10mila per il completamento dell’iter. Su 160mila pratiche presentate in Italia, 40mila sono state istruite in Campania e circa 4mila dall’organizzazione sgominata ieri tra San Giuseppe Vesuviano e Ottaviano.

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